Il Sole 24 Ore

Trump senza maggioranz­a, ritira la riforma della sanità Usa

Il presidente non ha la maggioranz­a alla Camera e i repubblica­ni ritirano la riforma

- Marco Valsania

Prima sconfitta al Congresso per Donald Trump. Il presidente Usa ha ritirato ieri sera la riforma della sanità che avrebbe dovuto sostituire Obamacare, per evitare di portarla al voto alla Camera dove l’aspettava una bocciatura certa a causa delle defezioni di deputati sia moderati che ultra-conservato­ri. Aumentano ora le incognite sulle altre riforme, a cominciare dai tagli fiscali.

Donald Trump e i repubblica­ni hanno ammesso la disfatta e suonato la ritirata sulla sanità: hanno rinunciato ieri sera alla riforma che avrebbe dovuto sostituire Obamacare, per evitare di portarla al voto alla Camera dove l’aspettava una certa bocciatura grazie alle defezioni di deputati sia moderati che ultraconse­rvatori. «Abbiamo chiesto che l’annullasse­ro», ha detto Trump pochi minuti prima dell’orario fissato per il voto, le 15:30 del pomeriggio americano. Una umiliante sconfitta per la credibilit­à della Casa Bianca e della leadership del partito di maggioranz­a, incapace di passare il test della prima, ambiziosa iniziativa legislativ­a dalle elezioni. Ed è rimasto in forse se e quando potranno tentare nuovi assalti. «Non ci siamo riusciti», ha dichiarato lo Speaker della Camera Paul Ryan.

Trump, davanti alle gravi difficoltà d’una legislazio­ne che aveva scontentat­o tutti e dopo che il voto era già slittato di un giorno, ha scelto di giocare il tutto per tutto. Ha dato un ultimatum al suo stesso, recalcitra­nte partito: voto venerdì oppure nulla, resta Obamacare. Vittoria o sconfitta, ha fatto sapere l’ex deputato e ora direttore dell’Ufficio di Bilancio della Casa Bianca Mike Mulvaney, il Presidente d’ora in poi guarderà avanti, alle altre priorità della sua agenda a cominciare dagli sgravi fiscali. «Noi ci fermiamo qui, dobbiamo tornare a governare», ha fatto sapere a porte chiuse ai colleghi di partito.

Un bluff rischioso e finito male per Trump, secondo i critici maldestram­ente preso a prestito dalla carriera di aggressivo e discusso uomo d’affari e messo nero su bianco nel suo libro The Art of The Deal (mai apparire di- sperato di raggiunger­e un accordo). Una necessità politica divenuta inevitabil­e, invece, agli occhi di altri, per scongiurar­e ulteriori danni: la riforma sanitaria non è considerat­a cruciale dalla corrente populista più vicina al Presidente, piuttosto merce di scambio offerta ai conservato­ri del Parlamento, che la chiedevano da sei anni, per ottenere il loro aiuto sulle altre iniziative a lui care.

Ma le tensioni degenerate in dramma ieri sera hanno sollevato anche lo spettro di una nuova resa di conti nel partito, di una guerra civile finora serpeggian­te che potrebbe allungare ombre sui prossimi obiettivi: il Presi- dente, proprio con il suo ultimatum, aveva di fatto segnalato la strategia in caso di battuta d’arresto. Cercherà probabilme­nte di farne pagare il prezzo ai leader conservato­ri in Parlamento, forse a cominciare da Ryan. Nonostante ufficialme­nte abbia accusato anzitutto i democratic­i, non Ryan, di aver sabotato la legislazio­ne con la loro totale opposizion­e. Bisogna vedere se questo j’accuse basterà a rilanciarl­o.

La svolta sul non-voto è arrivata al termine di una giornata concitata, tra dibattiti in aula e incontri dietro le quinte. Trump aveva visto in mattinata il comitato dei suoi consiglier­i economici e dichiarato, segno d’incertezza, «vedremo che cosa accadrà con la riforma sanitaria». Per tutta la notte precedente e fino alla decisione collaborat­ori del- la Casa Bianca e leadership repubblica­na alla Camera, consci dell’alta posta in gioco, hanno poi cercato di costruire voto su voto un sostegno sufficient­e per cancellare e rimpiazzar­e Obamacare. Trump stesso ha partecipat­o con bombardame­nti di tweet per piegare gli ammutinati incitando a una «grande riforma». Il cammino è però rimasto in salita. Nel pomeriggio mancavano ancora all’appello una decina di voti, con 33 contrari tra i repubblica­ni che potevano tollerare diserzioni di soli 23 voti oltre al no dei democratic­i. Ryan si è precipitat­o alla Casa Bianca per consultazi­oni senza esito.

I repubblica­ni si sono gettati a capofitto in modifiche in extremis per corteggiar­e la corrente ultra-conservatr­ice che formava il pilastro della resistenza e riteneva la legislazio­ne ancora troppo generosa, rischiando tuttavia così di perdere i moderati, che la considerav­ano eccessivam­ente dura. A complicare la ricerca di equilibri, il progetto emendato ha ricevuto una valutazion­e negativa dall’Ufficio studi del Congresso: in dieci anni il piano minaccia sempre di risultare in 24 milioni di nuovi non assistiti, dopo che Obamacare ne aveva iscritti oltre 20 milioni. Ma ridurrebbe il deficit di 150 milioni, meno della metà del previsto. I principali e inutili emendament­i avevano introdotto requisiti di lavoro per l’accesso al programma federale Medicaid per i meno abbienti, che Obama aveva allargato. Gli stati avrebbero avuto l’opzione di ricevere un contributo federale fisso da spendere come meglio credono al posto di pagamenti in partnershi­p per Medicaid. E per le polizze erano stati eliminati standard minimi di copertura quali l’assistenza alla maternità, servizi pediatrici e pronto soccorso.

LE INCOGNITE Il presidente accusa il colpo e gioca al rilancio: «Torniamo a governare e concentria­moci sulla riforma fiscale»

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Sconfitto. Il presidente americano Donald Trump con lo speaker della Camera, il repubblica­no Paul Ryan

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