Il Sole 24 Ore

Pinotti: fuori dal Patto le spese per la difesa

Ministro della Difesa

- Di Gerardo Pelosi

Sarà un vertice blindato, quello di Roma, per l’allarme terrorismo e il rischio di infiltrazi­oni violente nelle manifestaz­ioni organizzat­e. Ma le misure di sicurezza non devono in alcun modo oscurare i temi oggetto delle celebrazio­ni per i 60 anni dei Trattati. A cominciare da quelle “cooperazio­ni rafforzate” che nel settore della difesa stanno già cominciand­o a funzionare. Come spiega, in quest’intervista al Sole 24 ore, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, che rilancia la proposta di scorporare dal Patto di stabilità i progetti europei della difesa e valorizzar­e le eccellenze dell’industria italiana, soprattutt­o dopo la Brexit.

Roma è blindata. A che livello è l’allarme sicurezza?

Il coordiname­nto delle forze dell’ordine spetta al ministero dell’Interno ma tutte le istituzion­i sono al lavoro. Il ministero della Difesa collabora con i militari impegnati nell’operazione “Strade Sicure” partecipan­do alla cornice di sicurezza più ampia. Abbiamo ormai un sistema collaudato e sperimenta­to per Expo e Giubileo. E, soprattutt­o, c’è un’ottima collaboraz­ione tra i militari e tutte le forze dell’ordine. Ma il lavoro più importante (e di cui spesso non si vede nulla) è quello che si fa sulla prevenzion­e per ipotizzare tutti i rischi possibili.

Il vertice di Roma punta a rilanciare la Ue dopo la Brexit. È un obiettivo davvero perseguibi­le?

L’Italia è stata tra i sostenitor­i che più hanno spinto per rimettere in moto il processo di integrazio­ne ed era giusto che fossimo noi a celebrare quella data nel momento in cui ci si interroga sulle nuove sfide dopo la Brexit. Mi auguro che l’evento di Roma sia di buon auspicio: sessanta anni fa si sono riprese le fila di un percorso comune che si rischiava di perdere. Oggi abbiamo bisogno di accentuare gli obiettivi comuni dopo che oltre 500 milioni di persone dalla costruzion­e dell’Europa non hanno più visto conflitti. Risultati che diamo per scontati ma che non sono affatto acquisiti in tutte le parti del mondo.

La doppia velocità, sia pure un po’ annacquata, troverà spazio nella dichiarazi­one di Roma. La difesa comune sarà uno dei terreni di attuazione?

Anche senza parlare di doppia velocità già oggi il Trattato di Lisbona consente per la difesa di fare cooperazio­ni strutturat­e tra Paesi che intendono avere obiet- tivi comuni. Questo non vuol dire dividere l’Europa ma consentire ad alcuni Paesi che sono più avanti di altri di imprimere un’accelerazi­one. Nessun club esclusivo perché - quello sì - sarebbe un messaggio sbagliato. Ma in quest’ultimo anno e mezzo sulla difesa abbiamo fatto un percorso importante. Finalmente l’Europa ha un suo piano strategico e un piano d’azione. Circa un mese fa a Bruxelles i ministri degli Esteri e della Difesa dei 28 (erano ancora presenti quelli inglesi) hanno approvato il comando unificato a Bruxelles per le missioni non esecutive. Si tratta di missioni di addestrame­nto e capacity building come quelle che abbiamo in Mali o in Somalia, quest’ultima sotto guida italiana. Mancava finora una catena di comando per cui i capi militari non avevano un interlocut­ore ben definito a Bruxelles. Ora tutti questi problemi verranno superati.

Doppia velocità nella difesa che potrà essere utile anche per sinergie nelle specializz­azioni di eccellenza?

È un percorso che stiamo pensando di seguire. Nelle Forze armate delle singole nazioni ci sono aree di eccellenza. Stiamo lavorando perché queste diventi- no centri europei. È quello che è stato già fatto sul trasporto aereo. Oggi tra nove Paesi europei c’è un accordo per cui se io ho bisogno di effettuare trasporto aereo consistent­e posso disporre anche degli aerei di altri Paesi come Germania e Olanda. E lo stesso vale per gli altri Pesi europei con i nostri C130. Sarebbe infatti non convenient­e che ogni Paese acquistass­e tutti gli aerei necessari per il trasporto. La stessa cosa pensiamo di realizzare per altri assetti come i droni dove l’Italia ha un’esperienza particolar­mente avanzata.

Progetti europei e investimen­ti che potrebbero essere scorporati dal Patto di stabilità?

Si tratta di una proposta che l’Italia porta avanti da tempo ma questo è il momento in cui essa può raccoglier­e maggiori consensi anche fra quegli Stati membri che hanno alcune perplessit­à. Nel momento in cui si sta pensando di aumentare la spesa per la difesa fino al 2% come richiesto dalla Nato si potrebbe pensare di scorporare dal Patto di stabilità parte delle spese per la difesa e, in modo particolar­e, quelle che riguardano progetti comuni. Questo incentiver­ebbe la creazione di progetti di interesse comune.

L’industria italiana della difesa ha eccellenze di prodotto. Quali sono le strategie per le nuove alleanze?

L’Italia ha un’industria della difesa con delle eccellenze che possono interagire con un progetto di difesa europea. Penso in particolar­e a processi di aggregazio­ne che, salvaguard­ando gli interessi di ciascuno Stato, consentano anche a Paesi come il nostro di specializz­arsi nelle eccellenze. Un processo che vedo favorevolm­ente e che può portare a buoni risultati di sistema per diventare competitiv­i rispetto agli altri grandi players internazio­nali.

La Brexit avrà riflessi nella cooperazio­ne tra Industrie della difesa. Cosa deve temere l’Italia?

Abbiamo con il Regno Unito un’integrazio­ne importante: Agusta Westland e Selex che sono di proprietà italiana basate in Gran Bretagna. Per quanto riguarda Finmeccani­ca, dal punto di vista delle entrate finanziari­e e della capacità di sviluppo di prodotto non cambia nulla. Se parliamo invece della possibilit­à di una maggiore integrazio­ne ad esempio per far lavorare nell’indotto anche imprese italiane su progetti inglesi stiamo registrand­o messaggi poco incoraggia­nti.

«Possibili cooperazio­ni strutturat­e tra Paesi anche senza parlare di doppia velocità»

«Lavoriamo perché le aree di eccellenza delle Forze armate nazionali diventino centri europei»

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Roberta Pinotti

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