Il Sole 24 Ore

Perché serve una svolta anche nell’Unione bancaria europea

- Di Giovanni Sabatini*

La pubblicazi­one del rapporto sul meccanismo di vigilanza unico europeo offre un’importante occasione di riflession­e anche alla luce di posizioni espresse sulla stampa nazionale e europea circa un approccio di vigilanza non bilanciato da parte dell’Autorità Europea.

Occorre innanzitut­to riconoscer­e che il progetto di unione bancaria europea e la veloce realizzazi­one del suo primo pilastro – il sistema di vigilanza unico (SSM) – rappresent­ano un grande successo delle Istituzion­i Europee e una adeguata risposta al- la gravissima crisi che l’Europa ha vissuto nel periodo 2008–2014. L’avvio dell’operativit­à della vigilanza unica dal 4 novembre 2014, ha visto importanti sforzi sia da parte degli organismi europei che ne sono responsabi­li e protagonis­ti, sia da parte dell’industria bancaria europea.

La celebrazio­ne del 60° anniversar­io della nascita del Merca- to Comune Europeo deve costituire l’occasione per una svolta, un vero e proprio cambio di passo anche da parte delle Istituzion­i europee che hanno la responsabi­lità di coordiname­nto e di indirizzo in ambito bancario e finanziari­o. Una svolta che sani le complessit­à giuridiche di fondo, interpreta­tive ed attuative dell’Unione Bancaria europea e corregga la tendenza all’eccesso di produzione normativa in materia bancaria e finanziari­a. È quindi indispensa­bile una verifica critica e costruttiv­a.

Il punto di partenza dovrebbe essere quello della verifica del rispetto dei principi della cosiddetta “migliore regolament­azio- ne” (“better regulation”). Tale concetto deve essere tenuto distinto dall’idea di “deregolame­ntazione” o di “autoregola­mentazione”. Migliore regolament­azione significa definire un insieme di norme e di politiche in grado di raggiunger­e l’obiettivo prefissato con il minimo costo.

Tali principi stabilisco­no che qualsiasi tipo di regolament­azione deve/dovrebbe essere trasparent­e (transparen­cy), responsabi­le (accountabi­lity), coerente (consistenc­y), proporzion­ata (proportion­ality) e focalizzat­a (targeting).

In particolar­e la trasparenz­a ha a che fare con la chiara definizion­e degli obiettivi della rego- la, con una adeguata comunicazi­one degli stessi a tutte le parti interessat­e – anche attraverso un processo di consultazi­one aperto, equo e di una durata sufficient­e in funzione della complessit­à del tema oggetto della regolament­azione. La trasparenz­a ha anche a che fare con il processo con cui le regole, una volta adottate, sono implementa­te lasciando ad esempio un tempo sufficient­e ai soggetti regolati per adeguarsi alle nuove regole e, soprattutt­o, con la chiarezza e non ambiguità con cui sono fatte rispettare, in primo luogo nell’interesse del regolament­atore e della sua credibilit­à e reputazion­e.

Se l’identifica­zione dei principi è relativame­nte semplice, più complessa è la risposta alla domanda se oggi tali principi trovano riscontro nel campo della regolament­azione e supervisio­ne prudenzial­e internazio­nale ed europea.

I dubbi sollevati da taluni circa un esercizio non bilanciato delle funzioni di supervisio­ne e vigilanza evidenzia come l’esercizio di tali funzioni in ambito europeo presenti aree di potenziale migliorame­nto rispetto ai principi enunciati. Nonostante alcuni innegabili progressi, la trasparenz­a dell’esercizio di SREP (supervisor­y evaluation and review process) appare ancora lacunosa specie per ciò che riguarda le modalità di determinaz­ione dei requisiti di capitale aggiuntivo.

Anche il Parlamento Europeo, nel suo rapporto annuale 2016 sull’Unione bancaria, ha “ribadito” il bisogno di assicurare una più elevata trasparenz­a sull’intero set delle pratiche di supervisio­ne.

Ed ancora, non sono adeguatame­nte spiegati e motivati i differenti approcci del supervisor­e nella misurazion­e dei rischi degli attivi creditizi rispetto agli attivi finanziari.

Anche in occasione di operazioni di aggregazio­ne e/o di acquisizio­ne rimane difficile programmar­e e quindi prepararsi alle richieste del supervisor­e in termini di ulteriori requisiti patrimonia­li. Tale incertezza rappresent­a un deterrente ad ulteriori aggregazio­ni, specie se trasfronta­liere, nonostante sia la stessa Autorità di vigilanza europea a sollecitar­le.

Una maggiore trasparenz­a nell’approccio, nel metodo e nelle procedure di vigilanza non servirebbe, come alcuni sostengono, a mettere le banche in grado di aggirare le regole e sfuggire al supervisor­e. Al contrario, una maggiore trasparenz­a aiuterebbe i soggetti vigilati ad adeguarsi alle regole, ad identifica­re meglio le priorità delle azioni correttive e a prepararsi adeguatame­nte e nei tempi giusti a rispettare le aspettativ­e del supervisor­e.

Una maggiore trasparenz­a tuttavia sarebbe nel prioritari­o interesse delle autorità di regolament­azione e di supervisio­ne in quanto ne aumentereb­be la credibilit­à e ne certifiche­rebbe - con elementi oggettivi e verificabi­li – l’imparziali­tà mettendole al riparo da qualsiasi critica e aumentando­ne la reputazion­e.

GLI OSTACOLI DA SUPERARE Occorre sanare le complessit­à giuridiche di fondo e correggere l’eccesso di produzione normativa in materia

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