Il Sole 24 Ore

Varsavia contro le «due velocità»

- Di Luca Veronese

Alla fine firmerà anche la Polonia. Dopo le polemiche, le accuse e le parole grosse, sulla Dichiarazi­one di Roma ci sarà anche la firma di Beata Szydlo, la premier polacca. Non quella di Jaroslaw Kaczynski, il grande capo della destra populista e nazionalis­ta che da quando ha (ri)preso il potere a Varsavia nel 2015 ha (ri)cominciato a litigare con i Paesi europei occidental­i e con le istituzion­i dell’Unione: sui migranti, sui diritti civili, sul controllo dei media, sull’indipenden­za della Corte Costituzio­nale, sulla visione stessa dell’Europa. Kaczynski «venderà» ai polacchi la sua battaglia per non perdere consensi ma darà l’ordine di firmare, non potrà fare diversamen­te: l’alternativ­a sarebbe un completo isolamento, la mancanza di alleati sulla scena mondiale, considerat­a l’imprevedib­ilità dell’America di Trump e l’ostilità mai superata con la vicina Russia. Solo due settimane fa, quando il polacco Donald Tusk è stato rieletto alla presidenza del Consiglio europeo, anche i sodali del Gruppo di Visegrad - Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria - si sono dissociati dallo scontro personale di Kaczynski contro Tusk.

Il leader sovranista sarà dunque costretto ad accettare una Dichiarazi­one che dovrebbe fare riferiment­o alla «doppia velocità» all’interno della Ue: in questi giorni si è lavorato a una bozza nella quale i Paesi membri affermano di agire «insieme ogni qualvolta possibile, a diversi ritmi e intensità laddove necessario», pur ribadendo che «l’Unione è indivisa e indivisibi­le». Ieri sia la premier Szydlo, sia il presidente Andrzej Duda - entrambi esponenti di Diritto e Giustizia e fedelissim­i di Kaczynski - hanno rassicurat­o i partner comunitari: «Vogliamo un’Unione di Stati nazione liberi e sullo stesso piano», ha attaccato Duda ribadendo però il pieno impegno della Polonia dentro l’Europa.

Kaczynski continuerà a scagliarsi contro i «club esclusivi», contro «un’Europa a due velocità che vorrebbe spingere la Polonia fuori dall’Unione o trasformar­la in un Paese membro di categoria inferiore». L’Europa dovrà ancora una volta assorbire gli strascichi delle polemiche di un Paese che vuole cambiare l’Unione ma non può rinunciare ai fondi europei: in tutto quasi 100 miliardi di euro tra il 2014 e il 2020. E per questo darà fastidio ma a Roma finirà per firmare.

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