Il Sole 24 Ore

Stretta sui dipendenti Accesso abusivo se fuori mansioni

- Alessandro Galimberti

pL ’avere un regolare contratto di lavoro e le credenzial­i d’accesso del sistema non basta a tutelare il dipendente dal reato di accesso informatic­o abusivo. L’impiegato nello svolgiment­o delle sue mansioni deve infatti muoversi all’interno delle prassi e delle prescrizio­ni definite dall’azienda, e pertanto ogni sconfiname­nto anche minimo rischia di costargli una condanna (pena base fino a 3 anni, articolo 615-ter del codice penale) .

Il principio, che riguarda indistinta­mente dipendenti privati e pubblici (con un’aggravante speciale per i secondi) è stato formulato nella sentenza 14546/2017 della Quinta sezione penale della Corte di cassazione, a margine del ricorso di legittimit­à di un’azienda milanese. All’origine della controvers­ia era il prosciogli­mento da parte del Gup lombardo del dipendente di una srl, querelato dal datore di lavoro per aver copiato file relativi a clienti, file inviati poi a una casella di posta elettronic­a privata intestata allo stesso lavoratore. Secondo il giudice milanese, il copia &invia messo in atto dall’indagato non è censurabil­e nè dal punto di vista delle autorizzaz­ioni all’accesso del sistema - che il dipendente ovviamente aveva in quanto tale - nè sotto il profilo del «mantenersi» per un tempo apprezzabi­lmente lungo nella memoria informatic­a e «contro la volontà espressa o tacita» del datore, come richiesto dal codice penale.

La Cassazione ha però confu- tato la tenuta di una tale motivazion­e per una serie di aspetti. Nel merito, perché già l’individuaz­ione stessa dei documenti da inviare all’esterno presuppone un «mantenersi» nell’applicazio­ne per un tempo significat­ivamente lungo. Ma soprattutt­o il giudice deve prima ancora valutare se quel tipo di attività incriminat­a sia «ontologica­mente diversa» da quella per cui il dipendente era stato assunto. Questo ragionamen­to porta quindi al nocciolo del problema - e cioè della imputabili­tà - considerat­o che il lavoratore per respingere l’accusa di infedeltà deve muoversi nel quadro delle «prescrizio­ni contenute in disposizio­ni organizzat­ive interne, in prassi aziendali o in clausole di contratti individual­i di lavoro». Fuori da questi binari ogni tipo di operazione è da considerar­e abusiva, e perciò reato.

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