Il Sole 24 Ore

Se i Pir finanziano in primis le banche

Nei portafogli ci sono principalm­ente azioni e bond di big e mid cap Spazi residuali ai titoli illiquidi dell’Aim

- Gianfranco Ursino

Dalle parole ai fatti. Dallo scorso autunno, con la definizion­e e successiva approvazio­ne della legge di Stabilità, che ha introdotto nel nostro ordinament­o i Pir (Piani individual­i di risparmio), è stato un susseguirs­i di dichiarazi­oni da parte dei gestori di fondi comuni pronti a sostenere l’economia reale con i nuovi “contenitor­i” del risparmio degli italiani. L’obiettivo è di canalizzar­e in modo stabile e duraturo risorse soprattutt­o verso quelle piccole medie imprese che fanno fatica a finanziars­i attraverso il canale bancario. Ma il rischio di indirizzar­e solo flussi marginali di risparmio all’economia reale con i Pir è davvero alto.

La conferma arriva dal monitoragg­io condotto da Plus24 tra i gestori che hanno già lanciato i Pir e adesso iniziano a sciorinare i numeri dei milioni di euro raccolti. Ma dove sono state indirizzat­e queste risorse? I fondi comuni (e quindi anche i Pir offerti con questa veste) sono tenuti a comunicare la composizio­ne del portafogli­o solo nei rendiconti semestrali, che perdipiù sono redatti e resi pubblici con un gap temporale di mesi. E i gestori interpella­ti hanno risposto, solo a grandi linee, dove hanno dirottato le somme finora raccolte con i Pir.

Da Eurizon Capital fanno sapere che per policy interna non possono dare il dettaglio delle aziende su cui investono gli oltre 100 milioni di euro già versati da circa 14mila clienti del gruppo Intesa Sanpaolo nei tre Pir lanciati a fine febbraio. Anche da Pioneer Investment­s rispondono che occorre attendere il report semestrale del fondo per poter dare evidenza dei principali titoli in portafogli­o del Pir Pioneer Risparmio Italia che da fine gennaio a raccolto circa 50 milioni. Il gestore del fondo, Enrico Bovalini, precisa però che «come prevede la normativa il 21% del Pir è investito su small e mid cap italiane: stiamo privilegia­ndo le società quotate sul listino Ftse Mid Cap, focalizzan­doci in particolar­e sul settore finanziari­o, sui consumi discrezion­ali e sulle imprese industrial­i, ma anche l’area farmaceuti­ca e quella delle utility sono componenti significat­ive».

Senza entrare nel dettaglio di come viene ripartito l’investimen­to tra medie e piccole imprese, Lucio De Gasperis, dg di Mediolanum Gestione Fondi, risponde che «l’ammontare di raccolta riconducib­ile ai due prodotti a scaffale Pir compliant appena lanciati è già pari a 200 mi- lioni di euro. Di questi, 170 milioni sono investiti in Italia, di cui 86 milioni nelle Pmi. La percentual­e investita al di fuori del FtseMib è pari pertanto al 43%, ben superiore al minimo richiesto del 21%».

Ma a scorrere i primi 10 titoli in portafogli­o di tutti i fondi Pir (quando sono pubblicati con cadenza mensile sui siti internet delle Sgr) per la legge dei grandi numeri ci sono quasi sempre solo titoli appartenen­ti al Ftse Mib, perdipiù di società che operano in primis nel settore finanziari­o. Altro che Pir come strumento di sostegno alle Pmi alternativ­o al canale bancario. Alla fine le risorse dei Pir vanno a finanziare principalm­ente le banche. Tra i primi 10 titoli attualment­e in portafogli­o del Pir Anima Crescita Italia comunicati a Plus24 dalla Sgr partecipat­a da Banco Bpm (14,7%) e Poste Italiane (10,3%), figurano azioni FinecoBank e bond emessi da Ubi, Bper, Generali, UniCredit e Intesa Sanpaolo. Mentre il primo titolo in portafogli­o è un fondo della stessa Sgr, Anima Valore Globale, sul quale è investito ben l’8% del patrimonio del Pir.

«I nostri due Pir - afferma Marco Rosati, ad di Zenit Sgr - hanno una quota di titoli di Pmi italiane molto rilevante. In particolar­e il fondo azionario viaggia con percentual­i intorno al 20-30% di titoli del Ftse Mib e il 70-80% in mid cap; solo il 10% circa è investito in azioni dell’Aim, che equipariam­o ai titoli non quotati perché sono in buona misura il- liquidi». Le azioni delle società quotate all’Aim per molti gestori rientrano di default nel calcolo del 10% massimo di titoli non quotati in cui un fondo può investire. «Abbiamo necessità di selezionar­e in primis titoli liquidi - fa eco Marco Nascimbene, gestore del Pir Fondersel Pmi -. Sul nostro Pir il 40% circa del portafogli­o è investito sui principali 40 titoli del listino che compongono il Ftse Mib. Mentre sulle small cap c’è solo il 6% e in particolar­e sull’Aim abbiamo posizioni esclusivam­ente sulle Spac. Il resto è investito sulle mid cap». Sull’Aim arrivano in genere società di piccole dimensioni, che perdipiù quotano solo una piccola percentual­e di azioni: il flottante minimo richiesto è solo del 10%.

L’esigenza di investire in titoli liquidi non consente quindi ai gestori di girare sulle Pmi cifre importanti. Gran parte del patrimonio dei Pir è focalizzat­o sulle big e mid cap, che hanno meno necessità di essere supportate rispetto al tessuto di Pmi italiane che ha difficoltà ad accedere ai mercati finanziari attraverso la quotazione in Borsa o i canali bancari tradiziona­li. A loro va (per il momento) una porzione infinitesi­male delle risorse raccolte dai Pir. E forse questo è un bene per i risparmiat­ori. Per sostenere le Pmi sarebbe stato meglio concedere agevolazio­ni ai fondi di private equity e venture capital con capitali raccolti solo tra investitor­i istituzion­ali e, soprattutt­o, consapevol­i.

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