L’economia Us a corre e pog gia su basi solide
L’economia americana sta bene, grazie. La disoccupazione è bassa, i posti di lavoro vengono creati al ritmo di più di due milioni l’anno e la fiducia è su livelli alti. Naturalmente, non è merito di Trump. Già prima delle elezioni presidenziali era evidente che l’America stava scaldando i muscoli e, se Trump ha avuto conseguenze, queste conseguenze stanno più in un mercato azionario effervescente che, malgrado le recenti pause, sta vivendo di quelle “galline domani” di cui sono pieni i carnieri delle Borse. Quali sono, allora, i primum movens di questa ripresa? E la ripresa è limitata all’America? Fortunatamente no. I superindici dell’Ocse mostrano una corale ripresa negli ultimi mesi. Ed è importante che sia corale, perché se tutte le principali aree si espandono assieme, il tutto diventa più della somma delle parti. L’economia Usa è nel plotone di testa di questa risalita. La politica della Fed si era fatta espansiva prima che altrove, senza paura di avventurarsi nelle terre incognite dell’espansione quantitativa. E la politica di bilancio aveva mantenuto lo stimolo, rifiutando le pericolose lusinghe di un’austerità fine a se stessa. Questo ha dato tempo alla forza nativa dell’economia di risollevarsi, dopo le gravi ferite della Grande recessione.
Come si vede dal grafico, la ricchezza netta delle famiglie ha superato, già dal 2014, i massimi storici registrati nel 2007, poco prima dell’inizio delle crisi; e a fine 2016 ha toccato nuovi record. Dato che l’”effetto ricchezza” è uno dei determinanti della propensione al consumo, e dato che i consumi delle famiglie coprono quasi il 70% del Pil, si capisce come dietro l’abbrivio dell’economia americana ci siano robuste ragioni strutturali.