Il Sole 24 Ore

Art market: la guerra dei nu meri

I report di Pownall (Tefaf ) e McAndrew (ArtBasel) pongono tante domande sui risultati e sulle fonti adoperate

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L’anno scorso venne annunciato il “trasloco” di Clare McAndrew e del suo oramai tradiziona­le rapporto annuale sul mercato dell’arte dalla fiera Tefaf alla “rivale” ArtBasel, creando aspettativ­e e curiosità circa il nuovo rapporto che la fiera di Maastricht ha commission­ato a Rachel Pownall dell’università di Maastricht, presentato lo scorso 10 marzo.

I nuovi estensori avevano un compito non facile, poiché la metodologi­a impiegata gli anni addietro è proprietar­ia e pertanto il rapporto presentato da Clare McAndrew il 22 marzo ad Art Basel Hong Kong e sponsorizz­ato da UBS rimane il legittimo successore della serie iniziata nel 2008, a sua volta criticato proprio per la mancanza di trasparenz­a nel metodo, legata al segreto commercial­e. Metodologi­e scientific­he a parte, in entrambi i casi non rese note, i due studi conducono a due conclusion­i differenti ponendo una serie di quesiti a chi, come osservator­e e operatore, lavora nel mercato dell’arte: in primis quanto vale questo mercato? Dobbiamo dar retta all’approccio più conservati­vo della professore­ssa Pownall che lo stima in 45 miliardi di dollari, ma consideran­dolo ”stabile e robusto”; oppure alla visione più espansiva della più navigata economista dell’arte irlandese di 56 miliardi che però parla di decrescita?

Ballano oltre 10 miliardi, circa un quinto, non è poco in un mercato mosso da una ristretta cerchia di operatori, collezioni­sti e istituzion­i, che quest’anno ha visto un cambio di casacca tra gallerie, art advisor, aste e musei di molti esperti ed operatori.

La Pownell premette ai risultati che: «yet the dealer side of the market is opaque and lacks transparen­cy». La riduzione del numero di gallerie incluse nella sua definizion­e del settore, al fine - scrive - di catturare un campione più rappresent­ativo, dovrebbe essere la ragione di valori di scambio ridotti. Tuttavia queste rappresent­ano ben il 62,5% del mercato nel 2016 con un’impennata dei valori.

Cosa dicono i numeri? Nonostante i valori in asta, gli unici veramente osservabil­i, siano calati del 18,75%, le gallerie hanno goduto di un balzo enorme del 20% rispetto al 2015 nell’analisi Tefaf. Dal canto suo McAndrew registra, invece, il valore degli scambi in galleria in crescita del 3% e un crollo dei valori in asta del 26%. Insomma verrebbe da chiedersi: i dati d’asta pubblici sono tutti uguali? Sospetto che talvolta qualche art advisor ci solleva nei suoi report. Forse qualcosa non torna tra le due fonti d’asta o nell’uso dei dati: Artnet per la prima e Collectriu­m per la seconda. E poi nessun dealer che opera regolarmen­te nel mercato dell’arte ha dichiarato un boom di scambi nel corso del 2016, qui la discrezion­e regna sovrana. Piuttosto le gallerie hanno continuato a lamentare gli effetti della crisi economica, mentre le case d’asta hanno ridotto i volumi e i fatturati ( non dovunque). Quest’ultime hanno perso la fetta alta del mercato – i capolavori oltre il milione – e le gallerie hanno probabilme­nte guadagnato proprio grazie agli scambi con valori molto alti: capolavori che in modo più discreto sono passati di mano lontano dalla ribalta delle aste. Certo un trend registrato in un numero ridotto di galleria e per un pugno di artisti, poiché il mercato medio soffre. La volatilità dei cambi in un anno politicame­nte impegnativ­o è stato un fattore influente. Nonostante il calo sia dovuto in gran parte dalla dimi-

Dati sul mercato dell’arte ( valori in $) nuzione delle transazion­i in asta negli Stati Uniti, legate all’arte del Dopoguerra e Moderna, soprattutt­o dei lotti oltre 10 milioni di $ (-53% in un anno), il rapporto UBS conferma una divisione del mercato stabilizza­tasi attorno a 40% per Usa, 20% per Cina, UK e resto del mondo, mentre il rapporto Tefaf suggerisce una ripartizio­ne 30% per Usa, 24% UK, 18% Cina, con la stessa Cina con una quota del 36% del valore mondiale in asta, una contraddiz­ione che non sembra considerar­e come i dati cinesi in asta sono poco affidabili – l’invenduto ammonta al 43% secondo le stime della McAndrew contro il 33% a livello totale –, e portano indietro un lavoro di diversi anni teso a discrimina­re fra lotti presentati, venduti ed effettivam­ente pagati in tempi ragionevol­i, realtà spiegata nel rapporto UBS. Il vantaggio del rapporto della McAndrew è la sua storicità che consente confronti: il valore del mercato nel 2016 è molto simile a quello del 2006, 2010 e 2012, suggerendo che nell’ultimo decennio il mercato oscilli attorno a questo valore, con picchi e cadute legate all’andamento dell’economia mondiale e alla concentraz­ione della ricchezza.

È interessan­te notare come secondo la Pownell l’indice globale dei prezzi sia sceso dell’8,6%, mentre secondo la McAndrew la discesa del valore complessiv­o (-11%) è dovuta anche ad un -5% del volume delle transazion­i. Di certo è assai ridotto il campione statistico che ha risposto ai questionar­i di Tefaf, circa 350 gallerie contro i 1.100 del rapporto ArtBasel. Inoltre lo studio della Pownell, forse influenzat­o dal committent­e Tefaf Foundation inserisce categorie tipiche della fiera (come i gioielli, raramente inclusi in altre fiere d’arte), e talora rischia di cadere in affermazio­ni discutibil­i circa la “trasparenz­a” delle gallerie o che dimostrano un’incomprens­ione di base dei meccanismi del mercato dell’arte, carat- terizzato da asimmetria informativ­a e dal predominio dell’offerta. Fra queste, sostenere che la domanda sia responsabi­le della ricerca di discrezion­alità, quando è evidente che è il venditore che decide quale canale usare – asta, vendita privata o galleria –, trascurand­o che il compratore è sempre anonimo anche in asta. Nel mercato domina riservatez­za e anonimato. Allora risulta poco credibile, come fa la Pownall, interrogar­e le gallerie sull’etica del lavoro: se al questionar­io il 72% dei galleristi incita il proprio personale a tenere comportame­nti etici, verrebbe da chiedersi quali sono i principi dei rimanenti 28% dei galleristi!

L’analisi della domanda rappresent­a sicurament­e un valore aggiunto nel rapporto UBS-ArtBasel, che consente di ipotizzare qualche relazione più ampia sul movimento dei capitali nel mondo e sull’andamento di altri settori dell’economia. Infine, non potendo offrire una sequenza di risultati in un periodo di tempo lungo, il nuovo rapporto Tefaf finisce per perdere l’unico indiscutib­ile valore che prescinde dalla disputa metodologi­ca: la possibilit­à di fare confronti intertempo­rali, punto di forza del rapporto della McAndrew. Quest’anno ampliato con l’analisi della banca dati ArtFacts sulle mostre: un confronto, affatto peregrino, sul possibile influsso delle esposizion­i sul mercato degli artisti e delle loro opere, osservazio­ne che ArtEconomy­24 già fa da tempo. Insomma dalla lettura dei due rapporti si rischia di uscirne confusi in un settore già poco trasparent­e. Davanti a questa situazione, forse sarebbe stato più utile per Tefaf commission­are uno studio diverso, anziché una replica con una nuova metodologi­a tesa anch’essa a stimare il mercato mondiale dell’arte. Per esempio, uno studio focalizzat­o sull’economia delle fiere (ancora per nulla trasparent­e) o su determinat­e specifiche realtà di settore o geografich­e.

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