Il Sole 24 Ore

Investimen­ti innovativi ancora in ritardo

- Carmine Fotina

Quando in gioco c’è il livello degli investimen­ti privati, visto il terreno perduto non è certo sufficient­e parlare di ripresina o primi segnali di risveglio. Il rapporto-Italia della Bei su “Investimen­ti e finanza”, presentato ieri nella sede della Banca d’Italia, dice in modo chiaro che la crescita si è riattivata ma resta insoddisfa­cente per recuperare il gap.

Il ciclo degli investimen­ti è in moderata accelerazi­one, soprattutt­o grazie all’andamento delle grandi imprese, ma i 30 punti persi rispetto ai livelli del 2008 non sono facilmente assorbibil­i. L’indagine a campione, che ha coinvolto 622 imprese italiane nell’ambito di un censimento europeo di 12.500 imprese totali, racconta anche di un ritardo meno noto al grande pubblico, ma cruciale per determinar­e le nostre posizioni nelle classifich­e di produttivi­tà. Le imprese italiane scontano una storica apatia nell’investire in “intangible assets”, l’ampio universo dell’innovazion­e immaterial­e che copre ricerca e sviluppo, proprietà intellettu­ale, software ed applicazio­ni. In Europa (area Eu14) gli investimen­ti in “intangibil­i” sono il 7,2% del Pil, oltre un punto e mezzo in meno rispetto agli Stati Uniti. L’Italia a sua volta è solo quartultim­a, con il 5,3%, davanti a Slovacchia, Spagna e Grecia. Ed è ancora presto per capire se le politiche pubbliche, che negli ultimi anni hanno mostrato attenzione al problema, con interventi come la detassazio­ne del “patent box” e il bonus ricerca rafforzato, sposterann­o gli equilibri.

Passando al quadro generale, che include ad esempio una perdurante lentezza negli interventi per le infrastrut­ture, l’84% delle imprese italiane ha realizzato investimen­ti durante l’ultimo esercizio, percentual­e analoga a quella della Ue, con un’intensità (misurata in investimen­ti per addetto) che risulta addirittur­a leggerment­e superiore. Ma al tempo stesso solo il 12% delle aziende ritiene di aver investito troppo poco, rilevando un’esigenza di nuove spese ancora bassa, «coerenteme­nte - si legge nel rapporto - con uno scenario di investimen­to alquanto cupo del Paese».

Tra gli ostacoli sul lungo periodo agli investimen­ti, prevale l’incertezza riguardo al futuro, ma subito dietro c’è la disponibil­ità di finanziame­nti. Quasi un’impresa su dieci, il 9%, risente di scarsi finanziame­nti, una quota quasi doppia rispetto alla media Ue (5%). E questi numeri a dirla tutta non sorprendon­o più di tanto, vista la dipendenza delle imprese dalle fonti esterne di finanziame­nto (a partire dai mutui bancari) per le loro attività di investimen­to, il 45% per l’esattezza, contro il 36% della media europea.

Secondo un’altra indagine, realizzata da Banca d’Italia, tra le imprese che hanno risentito di un razionamen­to del credito bancario i livelli di investimen­ti risultano più bassi di circa il 10% rispetto all’era pre- crisi.

GLI OSTACOLI Pesa il razionamen­to del credito. Quasi un’impresa su dieci risente di scarsi finanziame­nti, il doppio rispetto alla media Ue

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