Emirati, reportage dal polo industriale
Nell’area si concentra un terzo dell’intera produzione manifatturiera dei sette Stati federati - In crescita il settore della logistica Le free zone attirano sempre più società straniere grazie a tariffe competitive e vicinanza a Dubai
pI campus universitari, protetti da alte inferriate, sono allineati lungo l’enorme viale assolato, la vita si svolge tutta all’interno degli edifici in vetro scuro e sotto le palme, nei giardini, sono parcheggiate automobili di lusso. Quasi 50mila giovani di oltre duecento nazionalità studiano nelle dodici università di Sharjah, terzo emirato per estensione dopo Abu Dhabi e Dubai, che alla vocazione industriale ha affiancato quella culturale e oltre a un vivace polo di istruzione superiore conta oggi venticinque musei.
Il cuore del business in questo emirato meno noto resta però il distretto industriale e le sue free zone, con ampi spazi ancora disponibili rispetto alle più congestionate e costose aree di Dubai, Abu Dhabi e Ajman. E un ecosistema industriale che ha nella logistica un settore di punta.
Per attiare le imprese straniere, Sharjah sfrutta la forza dei tre porti, due sul Golfo, uno sull’oceano Indiano. La tradizione commerciale, amplificata dall’essere una porta sull’Asia - di fronte a Iran, Pakistan, India - e sull’Africa, si intreccia alla presenza di un comparto industriale tra i più importanti dei sei paesi arabi del Gulf cooperation council.
Nell’emirato si produce il 33% dell’intera manifattura dei sette Stati federati negli Emirati Arabi Uniti. Partendo da una posizione di vantaggio, Sharjah, al pari degli altri Paesi dell’area, ha da tempo un’agenda per l’ulteriore diversificazione dell’economia dal petrolio. L’obiettivo dei Paesi Gcc (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar) è portare la quota dell’industria dal 10 al 20% del Pil entro il 2020. I settori non petroliferi stanno crescendo al tasso del 6% e gli investimenti cumulativi nella regione hanno superato i 300 miliardi di dollari, creando oltre 14mila imprese manifatturiere e un milione di posti di lavoro.
Il 6% del Pil totale degli Emirati è generato a Sharjah: a costruzioni e servizi alle imprese va la quota più importante del prodotto interno lordo dell’emirato (22%), seguiti da manifatturiero (16,5%) e commercio (12,4). L’industria estrattiva, invece, che rappresenta solo il 7,7% del Pil, sta perdendo slancio a causa della flessione delle quotazioni dell’oro nero. Per questo le autorità dell’emirato - con una popolazione di 1,4 milioni e un Pil procapite di 16.500 dollari - hanno in cantiere progetti di ampliamento delle attuali free zone.
Se ne occupano Shurooq, l’authority per lo sviluppo, e la neonata Invest in Sharjah. «Esistono tre free zone, vicine al mare e all’aeroporto - spiega il direttore Mohamed Al Musharrkh - e altre sono in progettazione in campi specifici, dalla sanità ai media. In tali distretti gli stranieri possono aprire società possedute al 100% e godere di molte agevolazioni fiscali, a cominciare dall’esenzione dai dazi su import ed export». Per ottenere una licenza, sottolinea Al Musharrkh, bastano due giorni lavorativi.
Ambiente, energie rinnovabili, sanità, istruzione e turismo sono i settori economici dove si prevede la crescita maggiore ma a fungere da calamita per le imprese straniere è soprattutto l’opportunità di importare e riesportare senza dazi. Non ovunque, ma nei circa quaranta Paesi con i quali esistono accordi di libero scambio. L’emirato, dunque, registra un alto tasso di riesportazione delle merci, in specie pietre e metalli preziosi, veicoli e macchinari.
Nella Hamriyah Zone, vicina all’omonimo porto, e nella Saif Zone (quella aeroportuale) si concentra l’attività industriale. Qui l’emergente Sharjah gioca una carta su tutte: costi conte- nuti rispetto agli emirati più saturi, unita alla vicinanza a Dubai. In pochi chilometri - un quarto d’ora d’auto, traffico permettendo – si raggiunge lo sfavillante Burj Khalifa. Al fine di agevolare le comunicazioni con il grande aeroporto internazionale è stato appena approvato un progetto da 136 milioni di dollari per costruire un nuovo corridoio tra Sharjah e Dubai.
«I nostri porti vengono serviti da 18 delle più grandi compagnie di trasporto marittimo al mondo» spiega Jithin Varrier, responsabile commerciale della free zone aeroportuale Saif dove hanno preso “casa” oltre 7.200 società, di cui 123 italiane. Gli spazi per uffici hanno affitti annuali che vanno da 7 a 10mila dollari mentre i depositi/capannoni costano da 16mila dollari (per 125 metri quadrati) a 56mila (600 metri quadrati).
Sottolinea i vantaggi competitivi Giovanni Bozzetti, presidente di Efg Cosulting che assiste le aziende italiane nell’internazionalizzazione negli Eau. «È l’unico emirato con doppio affaccio su mare arabico e oceano indiano - dice - e offre un polo industriale, uno di ricerca e formazione (grazie alle università) e free zone sia portuali che aeroportuali. Infine, il costo della vita e per l’insediamento di un’attività è più basso rispetto alle altre aree del Paese e può contare su un clima molto positivo di accoglienza alle attività estere produttive e commerciali».
Nell’emirato sta aumentando anche il turismo: a gennaio il tasso di occupazione degli hotel è cresciuto del 5,5% mentre i principali mercati, Dubai e Abu Dhabi, hanno visto un declino (-1,5 per cento).
IMPORT-EXPORT Le autorità spingono la diversificazione dell’economia e alle imprese offrono agevolazioni fiscali e esenzioni dai dazi