Il Sole 24 Ore

Banche, Trump tiene in stallo gli accordi per «Basilea 4»

I lavor i sui requisiti patrimonia­li si sono incagliati sui modelli di valutazion­e r ischi Con il nuovo presidente blocco dei negoziati tra istituti Usa e Ue

- Luca Davi @lucaaldoda­vi

pDopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza Usa, il confronto per la modifica degli accordi di Basilea sui requisiti patrimonia­li delle banche è in stallo. L’accordo di massima era stato raggiunto, almeno tra le banche europee. Ma il rappresent­ante Usa nel Comitato di Basilea si è dimesso in aperto scontro con la nuova amministra­zione.

pL’accordo su Basilea4 sembra a portata di mano, ma non c’è ancora. E forse non ci sarà almeno fino a fine anno. Con tutta probabilit­à occorrerà infatti arrivare al secondo semestre per trovare un’intesa sul nuovo capitolo della regolament­azione finanziari­a globale.

Tutto doveva essere pronto per la fine 2016, come noto. Ma la vittoria a sorpresa di Donald Trump ha rimescolat­o le carte. Così, dopo la grande delusione di inizio gennaio, quando il Comitato di Basilea ha dovuto alzare bandiera bianca riconoscen­do a sorpresa la mancata intesa tra banche americane ed europee, oggi il cantiere dei lavori sulle modifiche alle regole di Basilea 3 appare fermo. Gli “sherpa” addetti ai lavoratori preparator­i, a quanto risulta al Sole 24Ore, sono bloccati. In teoria, l’accordo di massima sembra essere stato trovato almeno tra le banche del Vecchio Continente. Ma a mancare è la contropart­e, ovvero gli Stati Uniti, il cui rappresent­ante nel Comitato di Basilea, Daniel Tarullo, ha fatto un passo indietro lasciando vacante il suo posto, in aperto scontro con l’amministra­zione Trump. Da qui la condizione di stallo totale.

Le dichiarazi­oni di ottimismo non mancano. Lo stesso numero uno della Vigilanza europea, Danièle Nouy, nei giorni scorsi ha detto che «siamo molto, molto vi- cini» a un accordo. Una visione ribadita anche dalla sua vice, Sabine Lautenschl­aeger, che si è detta «ottimista» sulla possibilit­à di trovare un accordo.

Nella riunione del 2 marzo, a quanto risulta al Sole 24Ore, i membri del Ghos, il gruppo dei governator­i delle principali banche centrali, hanno tuttavia preso atto di una cristalliz­zazione delle posizioni. Non a caso lo stesso Comitato ha ribadito che «le differenze» tra le parti, per quanto siano ridotte, «rimangono». Il board non ha potuto far altro che ribadire l’«ampio sostegno per le caratteris­tiche principali di queste riforme, che includono una revisione del framework relativo ai risk weighted asset, al leverage ratio e all’output floor».

Tema del contendere rimane quello relativo all’introduzio­ne dell’output floor, ovvero una limitazion­e al beneficio che i modelli interni possono generare rispetto ai modelli standard. E su questo aspetto almeno l’Europa sembra aver raggiunto una posizione comune. Le banche europee, dove i modelli avanzati dominano, in particolar­e nel Nord Europa, sono guidate dall’asse franco-tedesco, che si oppone all’introduzio­ne di un floor superiore al 70%. Dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti che non vogliono scendere sotto l’80%, visto che per loro il modello standard è prassi.

Un compromess­o del 75%, con un’introduzio­ne graduale del 55% dal 2021 per arrivare a regime nel 2025, al momento appare la soluzione più probabile. Del resto alcune autorità europee hanno sempre considerat­o utile un output floor ragionevol­e, per evitare modelli troppo sbilanciat­i. L’impatto sarebbe comunque significat­ivo per francesi e tedeschi, fieri sostenitor­i della bontà dei modelli avanzati. Analoga anche la posizione degli svedesi, la cui esposizion­e ai mutui immobi- liari è in media superiore. Più contenuto, invece, in termini di assorbimen­to di capitale, sarebbe l’impatto sulle italiane, dove i modelli standard sono prevalenti. Senza contare che anche i modelli avanzati non sono considerat­i particolar­mente aggressivi.

Ma nulla è scontato. Tutto è legato alle posizioni che assumerann­o gli Stati Uniti. Mercoledì prossimo si dimetterà dalla Fed Daniel Tarullo, l’uomo che negli ultimi sette anni ha rappresent­ato la Banca centrale nei dossier relativi alla regolament­azione finanziari­a. Uomo di grandi relazioni, e sostenitor­e del rafforzame­nto dei ratio patrimonia­li delle banche come medicina della grande crisi bancaria scoppiata col crack Lehman, Tarullo andrà in pensione cinque anni prima del dovuto, per una chiara diversità di visione con Trump, che punta a un allentamen­to delle regole del mondo della finanza. Data l’evidente ostilità dei Repubblica­ni alla legge Dodd-Frank, l’uscita di Tarullo potrebbe essere l’avvio di un cambio di passo anche per le posizioni della Fed dentro a Basilea. Un ammorbidim­ento delle regole non è detto che sia un male. Ma l’incertezza sulle tempistich­e non fa bene a nessuno. Per questo in molti confidano che, entro fine anno, si possa trovare una sintesii cocomune.

LO SCENARIO Mercoledì uscirà di scena Daniel Tarullo, l’uomo Fed che è in contrasto con Trump e solo nelle prossime settimane si capirà la nuova posizione Usa

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Basilea. La sede della Bis

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