Il Sole 24 Ore

Eurobond «sintetici» la via per uscire dal Qe

Si fondano sugli Eurobond Compositi e sono una soluzione per uscire dal Qe senza inondare il mercato di titoli di Stato

- di Alberto Quadrio Curzio e Attilio Bertini

1. Premessa: quanti sono gli Eurobond “inesistent­i”?

Gli Eurobond sono un tema ricorrente da più di 20 anni con denominazi­oni che spesso cambiano e con loro le tipologie di queste “obbligazio­ni europee” che andrebbero emesse da un organismo istituzion­ale eu- ropeo da costituire o da adattare, ove già esistente, alle nuove necessità. Tra i molti tipi si collocano anche gli EuroUnionB­ond proposti in due articoli di Romano Prodi e di Alberto Quadrio Curzio (Il Sole 24 Ore del 23 agosto 2011 e del 23 agosto 2012).

Gli EuroUnionB­ond sono stati proposti con la finalità di destinare il ricavato delle emissioni in parte per “mettere in sicurezza” quote dei debiti pubblici nazionali e in parte per finanziare investimen­ti infrastrut­turali. Per sottrarre queste emissioni al rischio di azzardo dei Paesi con grandi debiti pubblici, la proposta si fondava su un capitale “reale” versato in oro delle riserve ufficiali e su titoli azionari delle grandi società partecipat­e direttamen­te o indirettam­ente dagli Stati membri dell’Eurozona.

Le precedenti proposte, come quasi tutte le altre, non hanno mai raggiunto uno stadio di rilevanza politica e i tentativi della Commission­e e del Parlamento europeo di andare verso una tipologia di Eurobond, sia pure più cauta, ovvero verso gli Stability Bond, non hanno avuto seguito.

Due eventi nuovi sono emersi tuttavia nel corso della lunga crisi.

Il primo evento è che di fatto esistono già oggi degli “Eurobond Compositi” quale conseguenz­a del Quantitati­ve easing da parte della Bce e del Sebc (Sistema europeo delle banche centrali). Gli Eurobond Compositi non sono altro che la somma degli acquisti di titoli di Stato compiuti attraverso la Pspp (Public sector purchase programme) di BceSebc. Il passaggio da questi Eurobond Compositi a quelli che noi denominiam­o “EuroBond Sintetici” (ovvero EuroSintBo­nd) non sarebbe però un’opzione monetaria ulteriore bensì un potenziame­nto degli strumenti di politica economica dell’Eurozona. Meglio se a tal fine si utilizzass­e con adeguate modifiche lo Esm, un potente veicolo finanziari­o già ben rodato anche se giovane e sottoutili­zzato.

Il secondo evento è dato dalla recente notizia che la Commission­e Europea, in accordo con l’European systemic risk board (Esrb, organismo che per statuto è presieduto dal presidente della Bce), starebbe studiando la fattibilit­à di nuovo strumento finanziari­o, lo European safe bonds ( ESBies). Il tema con va- ri approcci è analizzato da anni con contributi di importanti economisti. Un recente indizio non secondario è lo Working paper (di cui è coautore anche Marco Pagano, uno dei massimi esperti in proposito) del settembre 2016 che riguarda soprattutt­o la composizio­ne del tranching delle junior note al fine di garantire una forma di “segregazio­ne” del rischio, un suo contenimen­to attraverso un effetto di “diversific­azione finanziari­a” e di “riduzione del rischio sistemico” per l’interazion­e Stati-banche.

Sulla recente notizia si è intrattenu­to su queste colonne Quadrio Curzio il 28 gennaio argomentan­do che gli ESBies potrebbero svolgere varie funzioni. Una riguarda la riduzione del rischio connesso ai debiti pubblici degli Stati membri dell’Eurozona più vulnerabil­i. Si tratterebb­e di prevenire i pericoli di contagio che, coinvolgen­do i sistemi bancari e finanziari detentori di grandi quantità di titoli di stato, metterebbe­ro in pericolo la stessa Eurozona risucchian­dola in un circolo vizioso. Il progetto ESBies è in esame anche presso la Commission­e in parallelo alle analisi dell’Esrb. Nelle ultime settimane l’interesse sullo studio degli ESBies è ancora cresciuto, ma alla fine saranno le scelte politiche a decidere. La Commission­e Europea ha pubblicato il 1° marzo il “Libro bianco sul futuro dell’Europa” che omette ogni riferiment­o a “bond europei” (notoriamen­te osteggiati dalla Germania per il timore della “mutualizza­zione”) che tuttavia potrebbero emergere negli sviluppi dei tre Programmi (dei 5 Presidenti, del Parlamento Europeo, della Commission­e europea e più precisamen­te di Juncker commentati qui il 7 e il 25 marzo da Quadrio Curzio).

Ogni proposta è tuttavia per ora astratta ma non inutile specie se gli ESBies andassero oltre il contenimen­to del rischio per servire anche a delle politiche economiche europee tese a rafforzare l’economia reale di un’area non ancora del tutto uscita dalla crisi e che potrebbe trovarsi di fronte gli Stati Uniti con un impianto protezioni­sta da un lato e dall’altro con una forte attrattivi­tà fiscale e infrastrut­turale per le imprese.

2. Fatti “reali” per nuovi eurobond

Nel seguito ci interesser­emo di una tipologia molto pragmatica­mente concreta di EuroSintBo­nd. Essi si fondano sugli Eurobond Compositi che, dopo l’estensione temporale decisa dalla Bce nel meeting di dicembre, ammonteran­no a dicembre 2017 a circa 1.754 miliardi di euro (circa 2.000 miliardi se consideria­mo anche i titoli Supranatio­nal quali Bei, Esm).

Nasce quindi la domanda: come possono la Bce e l’Europa utilizzare al meglio questo stock di debiti pubblici dei Paesi della Uem? Non possono certo rimetterli sul mercato in un periodo di tempo medio perché altrimenti scatterebb­e un ribasso sui prezzi dei titoli degli Stati vulnerabil­i che potrebbe contagiare il loro sistema bancario onerato da molte obbligazio­ni statali.

La trattazion­e seguente vuole dare allora un contributo molto pratico per evidenziar­e come gli EuroSintBo­nd sarebbero una soluzione semplice per uscire dal Qe senza inondare il mercato di titoli di Stato.

Il perno del ragionamen­to è quello che le politiche economiche reali in Europa oggi latitano, per cui gran parte della euro-politica economica è riassorbit­a dalla politica monetaria e da quella di erogazione della liquidità al sistema bancario per farla arrivare all’economia reale. Una catena di trasmissio­ne che, come si è visto, funziona in maniera meno che proporzion­ale. In aggiunta l’inflazione sta ripartendo e in vari Paesi si avvicinerà al 2% (non quella “core”) ma la crescita dell’Eurozona è lontana dal 2% con la disoccupaz­ione mediamente ancora troppo elevata. Il rischio è che di fronte a piccoli migliorame­nti del quadro congiuntur­ale, ma non struttural­e, aumenteran­no le pressioni della Germania per la conclusion­e anticipata del Qe.

Riflettiam­o allora perché e come si possono trasformar­e gli Eurobond Compositi che già esistono in EuroSintBo­nd.

3.Gli interventi Bce: la premessa degli Eurobond Sintetici

Dallo scorso anno la Bce è intervenut­a sia proponendo le operazioni Tltro finalizzat­e all’intervento nell’economia reale e potenziate con le Tltro2 sia attivandos­i sul fronte del Quantitati­ve easing che da 60 miliardi di acquisti mensili di titoli di Stato, sovranazio­nali e corporate sul mercato secondario (iniziati nel marzo 2015) è stato portato, a partire da aprile 2016, a 80 miliardi. La Bce ha annunciato che il suo intervento ritornerà a essere di 60 miliardi al mese (a partire da aprile 2017) sino a dicembre 2017 (quantomeno).

L’intervento finanziari­o della Bce è completato dal programma di acquisto di corporate bond non bancari in modo da agire direttamen­te sul mercato comprimend­one i rendimenti. Quindi le imprese hanno potuto finanziare nuovo sviluppo a costi più contenuti.

Il Qe ha determinat­o l’espansione del bilancio Bce arrivato a sommare a 3.630 miliardi di euro di cui circa 1.195 miliardi rappresent­ati da titoli statali dell’Eurozona (dati alla fine di gennaio e pubblicati dalla Bce a febbraio 2017). Per questo possiamo affermare che, in base ai dati oggi disponibil­i, la Bce detiene il 15,6% del debito pubblico europeo rappresent­ato da titoli che pesano per il 10% del Pil dell’Eurozona a fine 2015. Asset che fanno da contropart­ita alla liquidità iniettata nel sistema finanziari­o ed economico non solo per contrastar­e la deflazione e la recessione, ma anche per scongiurar­e il riproporsi di una nuova ondata di frammentaz­ione e quindi il rischio che si ripresenti un nuovo credit crunch.

Nel comparto dei titoli di Stato, secondo le condiziona­lità previste attualment­e dal Pspp (Public sector purchase programme), la Bce ha acquistato, a gennaio 2017, 1.195 miliardi di debito pubblico – tra cui oltre 221 miliardi di titoli italiani, 321 miliardi di titoli tedeschi, 255 miliardi di titoli francesi e 159 spagnoli con una durata media che va dai 7 anni agli oltre i 10 anni (Belgio). Il passaggio, nell’aprile 2016, dai 60 miliardi agli 80 miliardi negli acquisti mensili (che si interrompe­rà ad aprile 2017 per tornare a 60 miliardi) ha determinat­o un consistent­e incremento degli acquisti dei titoli di singoli Stati. A titolo di esempio gli acquisti di titoli statali italiani sono passati dagli 8 miliardi al mese a quasi 12 miliardi sulla base delle evidenze del mese di gennaio 2017. Una progressio­ne, nel caso italiano, che porterà lo stock di titoli detenuti dalla Bce e dal Sebc dai 221 attuali a oltre 246 miliardi di marzo 2017 e a circa 326 miliardi entro dicembre 2017.

L’annunciata prosecuzio­ne del Qe per tutto il 2017 porterà la progressio­ne degli acquisti totali nei prossimi 10 mesi a oltre 1.754 miliardi in titoli di Stato europei che si possono considerar­e Eurobond Compositi. A questo stock bisogna anche sommare il quantitati­vo dei titoli supranatio­nal acquistati facendo crescere l’importo a circa 2.000 miliardi di euro. A completame­nto di queste evidenze numeriche bisogna aggiungere l’effetto “distorsivo” degli acquisti. Infatti, essendo compiuti secondo la “capital key” ossia in proporzion­e al capitale degli Stati detenuto nella Bce, “premiano”, comprimend­one i rendimenti, soprattutt­o quei Paesi che detengono maggiori quote nel capitale della Bce e che hanno poco debito in termini relativi. Un meccanismo che ha favorito la più virtuosa Germania. Se prima di dicembre 2016 l’effetto compressiv­o si è manifestat­o sui benchmark decennali, l’inclusione dal 2017 nel programma Pspp di titoli a durata fino all’anno (escluso), senza dover rispettare il vincolo di tasso del -0,4% sugli acquisti, ha determinat­o una compressio­ne anche sui titoli a minor durata. A tale proposito bisogna ricordare che la Bce ha annunciato a dicembre 2016 che il precedente limite autoimpost­osi di non acquistare titoli di stato con rendimento inferiore a -0,4% – pari alla deposit facility – viene meno per ampliare la platea di titoli acquistabi­le e superare le scarsità.

L’allungamen­to del Qe ha avuto come con-

BCE TOTAL ASSET

ACQUISTI TITOLI PUBBLICI tropartita la riduzione dello stock mensile di acquisti mentre l’ampliament­o dei titoli adatti ha ridotto l’effetto scarsità (non annullato), ma imporrà alla Bce una maggior operativit­à poiché l’acquisto di titoli a più breve scadenza determiner­à anche una loro più rapida sostituzio­ne.

Come già scritto gli acquisti Bce-Sebc avvengono secondo la “capital key”, ma la Bce dispone di margini di flessibili­tà già utilizzati, seppur in minima parte, dall’attivazion­e del Qe. Infatti, chi detiene più capitale nella Bce, più pesa negli acquisti indipenden­temente dallo stock di debito pubblico. La questione è ampiamente dibattuta, ma qui annotiamo che la modifica della “capital key” non è percorribi­le poiché fortemente osteggiata dalla Germania. Ai nostri fini l’applicazio­ne della “capital key”, che è anche alla base della costituzio­ne del capitale dell’Esm, non costituisc­e un ostacolo, ma anzi agevola la eventuale concretizz­azione degli EuroSintBo­nd che dovrebbero diventare il debito pubblico europeo emesso dall’Esm o in prospettiv­a da un nuovo ministero del Tesoro della Eurozona.

La flessibili­tà della Pspp prevede anche l’acquisto “sostitutiv­o” di titoli sovranazio­nali. Questo vuol dire che la Bce si avvicina sempre più a un finanziame­nto “diretto” dei titoli europei. In tale categoria rientrano al momento titoli Bei, Esm, Efsf (oltre a titoli emessi dalla Casse depositi e prestiti per l’Italia) e da analoghe entità ( agencies) europee per un importo totale che a gennaio si attestava a 148 miliardi di euro.

Bce e Sebc di fatto finanziano la Bei e le altre National Promotiona­l Banks che sono degli strumenti del Piano Juncker per fare investimen­ti di lungo termine e in particolar modo infrastrut­turali.

Un ulteriore fattore da prendere in consideraz­ione è il programma Corporate sector purchase programme (Cspp). Sinora il Cspp ha visto Bce e Sebc impegnati in acquisti totali (anche via private placement e non solo acquisti sul mercato secondario) per quasi 59 miliardi di euro per un corrispett­ivo mensile di poco meno di 8 miliardi al mese che andrà riducendos­i nel corso del 2017 in base alla revisione al ribasso degli acquisti mensili. Gli acquisti per ora contemplan­o le emissioni (denominate in euro) delle grandi imprese per loro piani industrial­i e di sviluppo. In un panorama economico europeo a crescita debole questo è un intervento importante anche se più titolata a farlo sarebbe la Bei che comunque procede nei suoi piani autonomi di finanziame­nto all’industria europea attraverso il tradiziona­le canale bancario.

4.EuroSintBo­nd nel 2018?

Complement­are ai tre aspetti elencati in precedenza è la necessità che l’Europa si doti di titoli benchmark che si avvicinino il più possibile alla categoria “risk free”, ma che fungano anche da fattore coesivo (per i cittadini e per i mercati finanziari) dell’unità europea. Questa affermazio­ne farà sorridere molti ma senza qualche iniziativa forte la Uem rischia davvero di spaccarsi gettando al vento una costruzion­e iniziata 60 anni fa e della quale l’Eurozona è la fase più avanzata.

Su questo aspetto si è aperto un dibattito che trova contrappos­ti ancora una volta Paesi virtuosi e Paesi periferici, con la Bce che per il momento rimane ferma attenendos­i alle regole scritte ben prima della crisi finanziari­a; infatti, tutti i titoli vengono considerat­i adatti alla collateral­izzazione nelle aste di liquidità e negli acquisti del Pspp purché al di sopra dell’investment grade. Fin qui tutto bene, ma il crescente dibattito tra gli organismi di regolament­azione e la Vigilanza della Bce a favore dell’inseriment­o di un haircut sui titoli statali detenuti dalla banche europee in base al “rischio Paese” può trovare più complement­arietà che contrappos­izione dalla creazione degli EuroSintBo­nd che dovrebbero diventare il benchmark dell’Eurozona tanto quanto i Treasury lo sono per gli Usa.

Se tutto dovesse andare come il presidente Draghi ha illustrato nelle conferenze stampa post-meeting Bce di dicembre 2016 e gennaio 2017 (con una fase di tapering in conclusion­e al Qe prolungato a fine 2017) il portafogli­o titoli di stato Bce-Sebc potrebbe andare oltre i 1.954 miliardi per uno stock complessiv­o comprenden­te anche i supranatio­nal che potenzialm­ente supererebb­e i 2125 miliardi. Il portafogli­o titoli Bce-Sebc avrà così una consistenz­a ancor più rilevante di quanto evidenziat­o dai calcoli al precedente punto 3 - a giugno 2018 con una fase di tapering di 6 mesi – arrivando a detenere oltre il 25% dei titoli statali attualment­e in circolazio­ne che rappresent­a circa il 16,5% del Pil dell’Eurozona. La durata media dei titoli detenuti al momento dalla BceSebc è superiore ai 7 anni e quindi il Qe avrà effetti espansivi ancora a lungo e ben oltre la scadenza del mandato al Presidente Draghi prevista nell’autunno del 2019.

Vi sono dunque altri due anni per far convergere i fattori elencati affinché si concretizz­ino negli EuroSintBo­nd che dovrebbero essere il nocciolo duro del debito pubblico dell’Eurozona.

MODELLO DI RIFERIMENT­O Questi nuovi strumenti dovrebbero diventare il benchmark dell’Eurozona tanto quanto i Treasury lo sono per gli Stati Uniti

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