Il Sole 24 Ore

Il primo effetto dell’addio

- Di Alessandro Merli

La skyline di Francofort­e, che i locali amano chiamare Mainhattan, sognando New York sul Meno, pullula di gru. La costruzion­e di immobili per uffici prosegue senza soste da mesi. L’aspettativ­a nella capitale finanziari­a della Germania è di catturare buona parte dei flussi di società finanziari­e e dei servizi che lasceranno la City di Londra. Il tempo dirà se è un’aspettativ­a ben riposta o il prologo a una bolla immobiliar­e.

Per ora, persino Frankfurt Main Finance, l’ente chiamato a promuovere la piazza finanziari­a francofort­ese, e che prevede l’arrivo di 10mila persone nel post-Brexit, è cauto: ancor prima che di attrarre nuovo business, si preoccupa che la priorità del negoziato fra l'Unione europea e Londra sia il mantenimen­to della stabilità del sistema finanziari­o.

Ieri, in una singolare coincidenz­a con l’invio della lettera del Governo britannico che apre la procedura per l’uscita di Londra dalla Ue, la Commission­e europea ha messo la parola fine sulla fusione fra la Deutsche Boerse e il London Stock Exchange, sostenendo che avrebbe creato una situazione di monopolio. I suoi sostenitor­i, a Mainhattan e nella City, erano convinti invece che avrebbe creato la Borsa più importante del mondo, un pilastro indispensa­bile per l’Europa, ma di fatto avevano già dichiarato la morte del tentativo (il terzo in una quindicina di anni) il mese scorso. La causa occasional­e era stata la richiesta improvvisa di Bruxelles che Lse vendesse l’Mts, il mercato italiano dei titoli di Stato. Ma, in pratica, la sopravvive­nza della proposta fusione si era fatta precaria fin dal voto britannico nel referendum dello scorso giugno. I mesi successivi non hanno fatto che aggiungere ostacoli, ma se c’è una causa di morte dell’operazione LseDeutsch­e Boerse, va individuat­a nella Brexit. Ieri, è arrivato solo il certificat­o ufficiale.

Ora, nel breve periodo i politici locali potranno gloriarsi del fatto che la sede della Borsa resta a Francofort­e, invece di spostarsi a Londra, come previsto dal progetto di fusione, ma nel lungo periodo c’è un danno per tutti. Anche l’unione dei mercati dei capitali, di cui l’Europa ha bisogno per colmare le distanze dal mercato americano, nasce monca senza la City.

Quanto alla Gran Bretagna, il calcolo dei danni è lungi dall’essere chiaro. Ieri, a un incontro organizzat­o a Francofort­e da Dz Bank e da Omfif, presente oltre un centinaio di investitor­i, a sentire i relatori britannici sembrava che il Regno Unito sia destinato a passare indenne dal distacco dal continente e che sarà l’Europa a soffrirne le conseguenz­e peggiori. Un’opinione tutta da verificare anche per quanto riguarda il settore finanziari­o. Non basta ricordare che la stessa Deutsche Bank si è impegnata a occupare un nuovo quartier generale a Londra dal 2023, un voto di fiducia nella City. L’erosione della posizione di Londra è già iniziata (non necessaria­mente a vantaggio della sola Francofort­e) e alla fine dipenderà soprattutt­o dalle decisioni delle grandi banche americane, che, dal 1987, ne hanno fatto quello che è oggi e che da tempo stanno facendo i loro piani post-Brexit.

Ma sarebbe sbagliato guardare il problema nell’ottica ristretta del «miglio quadrato» londinese, per quanto predominan­te nell'economia britannica, e di Mainhattan. I veri problemi possono venire invece dall’economia reale, come ha messo in luce l’allarme di Business Europe, il gruppo delle associazio­ni imprendito­riali europee. Ricorda un rapporto dei cinque «saggi», i consiglier­i economici del cancellier­e Angela Merkel, che l’export britannico verso l’Ue è il 46% del totale e l'import più del 50%. Le percentual­i non arrivano al 10% né per l’Unione europea, né per la Germania. Le battute di Boris Johnson sul prosecco e sulle Bmw lasciano il tempo che trovano, anche se non c’è dubbio che le imprese europee si debbano attrezzare a fare i conti con l’apporto depotenzia­to di un mercato importante. C’è di più: un’indagine delle Camere di commercio di Germania mostra che un decimo delle imprese tedesche che hanno realizzato investimen­ti diretti in Gran Bretagna è pronto a spostarsi in altri Paesi europei, e questo ancora prima che il negoziato cominci. Gli stessi segnali arrivano dal Giappone. Theresa May non potrà fare a tutti le promesse di ponti d'oro che ha fatto alla Nissan.

Votare la Brexit, firmare l’articolo 50, è stato la parte facile. La sepoltura definitiva della fusione delle due Borse mostra che il difficile inizia ora.

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