Il Sole 24 Ore

Il ricatto di May sulla sicurezza

- Leonardo Maisano

La Brexit comincia ora. Nell’istante in cui nove mesi di travagliat­o peregrinar­e politico-ideologico della società e dell’establishm­ent britannico, si sono conclusi con l’attivazion­e dell’articolo 50 per il recesso del Regno Unito dall’Unione europea, secondo la liturgia delle grandi occasioni. L’ambasciato­re britannico si è presentato dal presidente Ue, consegnand­o la lettera di addio del premier in quei minuti impegnato ad illustrare al parlamento «un evento storico dal quale non si torna indietro».

È la sequenza di un fatto che verrà, perché il cerimonial­e di ieri si è limitato a chiudere una fase – quella del referendum, dello shock conseguent­e, delle fibrillazi­oni successive - per cominciarn­e un’altra, quella vera, quella della trattativa sui temi al centro della querelle anglo-europea. Ed è leggendo le sei pagine che sir Tim Barrow ha consegnato al presidente Donald Tusk che si scopre, neppure troppo in controluce, la linea che Londra intende seguire. «Scrivo per dare seguito alla decisione democratic­a del Regno Unito… lasciamo l’Unione europea, ma non lasciamo l’Europa – ha scandito la signora primo ministro Theresa May – vogliamo rimanere partner e alleati dei nostri amici del Continente». Un prologo che conduce alla prima condizione, ovvero al primo evidente ostacolo sulla via di un’intesa. «Crediamo che sia necessario concordare le condizioni della nostra futura partnershi­p insieme con quelle della nostra uscita dall’Unione europea», ha precisato, suggerendo che il conto da saldare al bilancio comunitari­o (60 miliardi di euro secondo Bruxelles) dovrà essere declinato nel contesto dell’intesa globale. In altre parole deal su tutto, oppure no deal. Linea che sbatte con i primi commenti di Berlino e Parigi, rapidi nel replicare, al di là delle lacrime che la circostanz­a impone a qualsiasi divorzio, la linea opposta: prima si trattano i termini economici del recesso, poi si discutono quelli della futura cooperazio­ne. È a questo punto che nell’esegesi del testo e del discorso tenuto da Theresa May ai Comuni si trova lo spunto per la prima, violenta polemica. «Se lasciamo l’Ue senza un’intesa andremo alle regole commercial­i della Wto – ha affermato ripetutame­nte l’ospite di Downing street nel documento a Tusk e nel discorso ai Comuni – e in termini di sicurezza la mancata intesa comporterà che la nostra cooperazio­ne contro la criminalit­à e il terrorismo sarà indebolita».

Il trade off è dunque questo? Concession­i commercial­i da parte dei Ventisette per garantire la piena collaboraz­ione britannica in termini di sicurezza? È una lettura che ha trovato molti supporter alla Camera dei Comuni. L’hanno interpreta­ta in questo modo esponenti dell’opposizion­e, durissimi nel denunciare il baratto che Downing street avrebbe messo sul tavolo dei Ventisette. Analoga l areazione da ambienti di Bruxelles. È toccato ad Am ber Rudd ministro degli Interni del Regno Unito cercare di sopire le polemiche con un’analisi del contesto sintattico usato da Theresa May. A chi le obiettava che l’associazio­ne si evince dalla sequenza lessicale, la ministra degli Interni ribatteva che «non era nello stesso paragrafo».

Sofismi che la storia prossima ventura chiarirà. Quel che resta è una frase carica di ambiguità laddove, poi si aggiungeva l’accenno della stesso Rudd sulla possibile uscita (probabile in verità) britannica da Europol che Londra lascerebbe «portandosi le informazio­ni con sé». Miserie pre-negoziali? Esagerata volontà di interpreta­re parole non scritte? Tutto è ancora possibile a metà di un giorno triste, scandito da una sterlina confusa in rialzo, com’è stata all’apertura dei cambi, in calo al tramonto.

L’uscita di Londra dalla Ue potrà accontenta­re gli eurofobi, potrà soddisfare anglo-insofferen­ti, ma resta l’amputazion­e di un consesso che aveva in Londra l’unico partner capace di riportare il dibattito europeo nell’alveo del pragmatism­o. E quella dovrà essere la luce del cammino a venire, soluzioni senza pre-condizioni ideologich­e, che dovranno essere ricercate – come ha detto nei giorni scorsi il presidente Paolo Gentiloni – senza concession­i all’emotività. Il Regno Unito in questo eccelle e per Michel Barnier, seduto all’altro capo del tavolo del ministro per la Brexit David Davis, non sarà affatto semplice.

La liturgia degli addii non finisce qui. Già oggi sarà la volta del Great Reapel Act, la legge che cancellerà lo European Act di adesione all’allora Cee. Una formula breve dietro la quale si nasconde un lavoro gigantesco: la trasposizi­one delle norme Ue entro la legislazio­ne del Regno Unito. Il governo avrà poteri straordina­ri per accelerare un processo che rischia di ingolfare il Parlamento.

La Brexit è ormai cominciata.

MURO CONTRO MURO «Senza un’intesa andremo alle regole commercial­i della Wto e la nostra cooperazio­ne contro la criminalit­à e il terrorismo sarà indebolita»

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