Rischio-dazi per ora remoto ma preoccupa la sterlina
Brexit, d’accordo, ma senza muri. L’auspicio (e al momento anche la previsione) delle aziende italiane è che in termini commerciali poco o nulla cambi rispetto alla situazione attuale, che permette di cogliere appieno i benefici del mercato unico. In attesa delle mosse concrete di Londra i timori sono solo prospettici, con la certezza però di trattare un tema chiave per le nostre imprese. Quarto mercato di sbocco per il made in Italy, il Regno Unito da solo vale quanto sviluppato da Cina (con Hong-Kong) e Russia insieme. I 22,5 miliardi di euro generati dall’export oltremanica lo scorso anno rappresentano in valori correnti per l’Italia il nuovo massimo storico, 7,6 miliardi in più rispetto agli abissi in cui eravamo caduti nel 2009, un record che spinge al top di sempre anche l’avanzo commerciale, arrivato a quota 11,5 miliardi. Se il 2016 in media non è stato un anno brillante (+0,5%), gli ultimi mesi sono stati decisamente più tonici, con un progresso tendenziale del 4,6% a dicembre, del 7,5% a gennaio. I rischi potenziali sono per ora valutati in un range molto ampio, con Sace che lo scorso giugno stimava una contrazione possibile delle vendite fino al 7%, pari a 1,7 miliardi. Scenario che al momento le imprese giudicano però poco probabile.
«L’ipotesi dei dazi - spiega Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare - è a mio av- viso al momento remota, anche se naturalmente tutto dipende dai negoziati in altri ambiti. Gli associati non sono particolarmente preoccupati, da un lato perché la svalutazione della sterlina al momento pare sotto controllo, dall’altro perché molti dei nostri prodotti sono in realtà insostituibili. No, non credo che il Regno Unito possa permettersi strappi commerciali». «Per l’occhialeria - aggiunge il presidente di Anfao Cirillo Marcolin - si tratta del terzo mercato estero di sbocco, i dazi sarebbero certo un disincentivo. Il negoziato sarà lungo ma al momento mi pare difficile ipotizzare un esito con soluzioni estreme o fortemente penalizzanti».
Per alcuni settori, ad esempio il vino, Londra rappresenta un cliente irrinunciabile, primo fornitore del paese secondo i dati delle cooperative agroalimentari. Che in report diffuso ieri vedono il rischio che un’ulteriore svalutazione della sterlina (già scesa del 20% in poco più di un anno rispetto all’euro) spinga le catene britanniche a chiedere forti sconti, comprimendo i margini delle imprese. Chi non può ri- schiare di perdere il mercato è certamente il consorzio del Prosecco, che verso Londra piazza il 36% delle proprie vendite oltreconfine. Ma anche qui i timori sono limitati.
«C’è la possibilità - conferma il presidente del consorzio Stefano Zanette - che i nostri prodotti perdano quote di mercato a vantaggio di altri paesi, anche se al momento devo dire che questo fenomeno non si sta verificando. Ed è un bene, perché per noi Londra rappresenta il primo mercato estero di sbocco, con tassi di crescita ancora a doppia cifra».
La debolezza della sterlina resta comunque un cruccio visibile anche in altri comparti, come il tessile-abbigliamento, che lo scorso anno ha esportato nel Regno Unito merci per quasi tre miliardi di controvalore. «Sui dazi possibili non mi pronuncio - spiega Silvio Albini, presidente dell’omonimo cotonificio - mentre le “botta” l’abbiamo già presa con la sterlina: i prodotti italiani ora sono più cari, vendere è più complicato. In parte abbiamo compresso i margini, in parte abbiamo aumentato i prezzi. Ma il mercato al momento resta difficile». «Speriamo in una Brexit senza muri - aggiunge il presidente di Unioncamere Lombardia Gian Domenico Auricchio, produttore del comparto alimentare - perché si tratta per il nostro settore di un cliente significativo, oltretutto in una fase di crescita: perderlo sarebbe davvero un peccato».
LE VOCI Scordamaglia (Federalim.): «Molti nostri prodotti sono comunque insostituibili» Albini (tessile): «Ora a Londra siamo diventati più cari»