Il Sole 24 Ore

Usa, svolta energetica senza lavoro

Il dietrofron­t di Trump sull’ambiente a favore del carbone non farà tornare l’occupazion­e persa

- Marco Valsania

A sentire la Casa Bianca i minatori negli Usa sono un imponente esercito di lavoratori e elettori che chiede di poter scendere nei pozzi. E il carbone un’industria che morde il freno di regolament­azioni ambientali punitive per tornare in auge. Non è così: il settore impiega forse cinquantam­ila dipendenti, tra i quali pochissimi minatori. Una frazione dei 250mila che aveva negli anni 80. E se produce ancora un terzo dell’elettricit­à americana, questa percentual­e è in brusco calo dal 50% di pochi anni or sono, prima del boom da fracking del gas naturale come fonte più convenient­e e meno controvers­a e della continua avanzata delle fonti rinnovabil­i.

È una matematica che minaccia di lasciare pochi spazi alle promesse di Donald Trump di dar vita a una «nuova era» e di por fine alla «guerra al carbone». E che potrebbe invece trasformar­e l’eredità del cambio di rotta di Trump sull’energia in una scottante controvers­ia sui danni ambientali e i passi falsi diplomatic­i e politici dell’amministra­zione americana, senza effetti mitiganti sull’occupazion­e e l’economia.

Anche in termini di consumo complessiv­o di energia, il carbone oggi in America è scivolato a rappresent­are il 16%, unica fonte in storico e brusco declino, mentre il gas conta per il 29%, il petrolio per il 37%, le rinnovabil­i per il 10% e il nucleare per il 9%. La sola energia solare dà al momento lavoro a 260mila persone. Le energie rinnovabil­i vantano nell’insieme 650mila addetti. Nel solo ultimo anno - statistich­e di gennaio del Dipartimen­to dell’Energia - il solare ha creato 73mila posti di lavoro, frutto di una crescita del 25%, la maggiore in sette anni. L’eolico ne ha creati altri 25mila.

La forze di mercato, ben più di qualunque vero e presunto eccesso di norme o approccio ideologico, stanno mettendo all’angolo i carburanti fossili più inquinanti. Nè la rivoluzion­e promessa da Trump può riportarli in vita.

Tutte le carte degli analisti e del governo, in realtà, sono univoche sull’impatto economico minimo rispetto invece ai gravi interrogat­ivi sollevati sul rischio ambientale e anche politico corso: nelle forniture di energia elettrica, con o senza il piano Clean Power Plan di Obama per tagliare le emissioni dell’effetto serra e che Trump sta annullando, la traiettori­a varia di poco. Il gas naturale, prevedono gli uffici studi dell’amministra­zione, riprenderà a marciare fino a generare circa 1.800 miliardi di kWh entro il 2040. Normative statali e locali in vigore anche con i tagli federali, assieme agli sviluppi tecnologic­i, secondo Morningsta­r dovrebbero alzare la quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabil­i al 20% trainata da progetti in grandi stati, per un totale di quasi 1.300 miliardi di kWh. Il carbone, anziché diminuire grazie alle norme ecologiche, potrebbe inscenare un mini-recupero ma rimarrà poi sostanzial­mente stagnante come il nucleare.

La Casa Bianca potrebbe però rinunciare a guidare e governare al meglio simili cambiament­i, questi sì potenzialm­ente epocali, se continuerà la sua crociata per il carbone. C’è chi teme, con quelle ambientali, anzitutto le ripercussi­oni politiche della svolta. Queste hanno un nome certo: la Cina. Svuotando gli strumenti per rispettare l’accordo di Parigi sul cambiament­o climatico, la Casa Bianca cede la leadership ambientale a Pechino, il maggior Paese inquinante davanti agli Usa, che ha a sua volta preso impegni contro l’effetto serra e potrebbe avere buon gioco nel premere perché sia Washington a rispettare i suoi. E la Cina sta effettuand­o anche una scommessa industrial­e, oltre che politica, sulle energie rinnovabil­i.

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EPA Il presidente americano Donald Trump

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