Crisi del nucleare: Westinghouse va in bancarotta
La bancarotta di Westinghouse evidenzia «il meltdown dell’industria nucleare globale e un momento di svolta nella sua decennale spirale discendente»: l’entusiasmo con cui Greenpeace ha salutato la notizia del Chapter 11 per la controllata americana di Toshiba appare venato di esagerazione, ma certo si tratta di un nuovo segnale di quanto sia diventato estremamente rischioso – sulla scia del triplo “meltdown” a Fukushima Daiichi di sei anni fa – il business dell’energia atomica, almeno nei Paesi avanzati. Anche tra non pochi ambientalisti, alla gioia per le diminuite prospettive dell’energia atomica fa da contraltare la percezione di una lotta ai cambiamenti climatici che si fa sempre più ardua, tanto più nei giorni in cui Donald Trump torna a promuovere il carbone.
Di sicuro la vicenda rappresenta una umiliazione per l’industria giapponese e americana. Toshiba – che prese il controllo di Westinghouse 11 anni fa strapagandola – ha stimato ieri di dover mettere in bilancio la maggiore perdita annuale nella storia delle aziende manifatturiere nipponiche: 1.010 miliardi di yen, circa 8,5 miliardi di euro di rosso, che portano l’intero gruppo a un valore patrimoniale negativo di 620 miliardi di yen, rendendo necessaria per la sopravvivenza la cessione del gioiello della corona, la divisione chip. Dal primo aprile Toshiba deconsoliderà la controllata e cercherà di venderla, nel quadro di un “indietro tutta” da quello che lo stesso numero uno Satoshi Tsunakawa ha definito il principale fattore di rischio aziendale: il business nucleare fuori dal Giappone. Un colpo, dunque, anche per l’Abenomics - che tra i suoi pilastri per la crescita aveva puntato sull’export di tecnologia nucleare - e un punto interrogativo su progetti in corso in vari Paesi, tra cui i tre reattori in programma a Moorside nel Regno Unito.
Per quanto riguarda la società fondata nel 1886 dal pioniere della generazione e distribuzione elettrica George Westinghouse – poi diventata il simbolo della supremazia americana nell’energia nucleare civile -, il crollo finanziario mette a rischio non solo buona parte dei 12mila dipendenti, ma il destino delle due centrali in costruzione con nuove tecnologie – in Georgia e South Carolina – che tra ritardi e aumenti dei costi hanno messo in pericolo la stessa casa madre Toshiba (ora a rischio di delisting dalla Borsa di Tokyo). Westinghouse per ora ha i soldi per le operazioni ordinarie, in attesa di un nuovo investitore: scartanto russi e
SMACCO COLOSSALE La società giapponese dovrà mettere in bilancio una perdita annuale di oltre 8 miliardi di euro e cedere la divisione chip
cinesi, l’unico politicamente accettabile sarebbe la coreana Kepco, che ha però segnalato scetticismo.
Non mancano altri aspetti politici: se la scelta di Toshiba di portare i libri della controllata alla Us Bankruptcy Court del distretto Sud di New York appare obbligata per limitare le perdite, nelle sfere governative di Tokyo si teme l’eventuale ira di Trump per la perdita di posti di lavoro e gli inevitabili oneri pubblici (il governo Usa ha garantito prestiti per 8,3 miliardi di dollari alle utility capofila dei due progetti ora a rischio). Il governo Abe, inoltre, ha fatto intendere di voler influire sulla vendita dei chip Toshiba per evitare che finiscano in mani cinesi o troppo vicine ai cinesi, come quelle di Foxconn.