Il Sole 24 Ore

Le politiche di Trump non salveranno il carbone

C’è scetticism­o sull’impatto della cancellazi­one delle misure contro il climate change A guidare gli scenari energetici saranno le leggi dell’economia

- Sissi Bellomo

pNon saranno gli editti di Donald Trump, ma le leggi dell’economia a decidere il destino del carbone e degli altri combustibi­li fossili. È questa l’opinione prevalente nel mondo dell’energia all’indomani del colpo di spugna alle politiche ambientali negli Stati Uniti. Il nuovo presidente americano, proclamand­o la «fine della guerra contro il carbone», ha avviato un processo che negli Usa potrebbe effettivam­ente prolungare la vita a qualche vecchia e inquinante centrale. Le sue mosse non sembrano però sufficient­i ad alterare in modo decisivo gli scenari di domanda e offerta, né a livello nazionale, né tanto meno su scala globale. Non a caso i mercati non hanno avuto reazioni rilevanti agli ultimi sviluppi della politica Usa.

La reazione del mercato

I titoli di alcune società carbonifer­e – reduci da una crisi drammatica, che ha provocato numerosi casi di bancarotta e migliaia di licenziame­nti – si sono rafforzati a Wall Street: in particolar­e Peabody Energy ha registrato un rialzo di oltre il 10% nelle ultime due sedute. Ma le quotazioni del carbone non hanno registrato grosse variazioni, salvo che in Asia, dove però sono in rialzo per via del ciclone Debbie, che ha costretto a chiudere diverse miniere in Australia. Il gas, diretto concorrent­e del carbone nella generazion­e elettrica, si è mantenuto ai massimi da oltre un mese al Nymex, oltre 3 $/Mtbu, mentre il petrolio – anch’esso in rialzo, sopra 49 $/barile nel caso del Wti – sta rispondend­o soprattutt­o al crollo della produzione in Libia, cui si è unito ieri un forte calo delle scorte di benzina negli Usa.

I rischi – non solo per gli scenari previsiona­li, ma anche e soprattutt­o per l’ambiente – diventereb­bero molto più concreti se scattasse un effetto emulazione, ossia se altri Paesi decidesser­o di abbandonar­e la lotta contro il cambiament­o climatico. Washington non ha ancora deciso se ritirare ufficialme­nte l’adesione agli Accordi di Parigi, come Trump aveva promesso di fare in campagna elettorale: un passo che persino il gigante del petrolio ExxonMobil esorta ad evitare. Comunque sia, una volta smantellat­e le misure di Obama per la riduzione dei gas serra, è ben difficile che riesca a rispettare gli impegni di Parigi (gli accordi peraltro non prevedono sanzioni).

Tempi lunghi

Il Clean Power Plan, in particolar­e, imponeva alle utilities di ridurre le emissioni di Co2 delle centrali elettriche del 32% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005. Trump comunque non ha potuto abrogarlo per decreto, ma solo avviare la sua revisione. «Questa è solo la prima mossa di una lunga partita a scacchi, che durerà anni – avverte Richard Revesz, giurista della New York University – La questione potrebbe non essere risolta prima del 2020, quando ci saranno nuove elezioni presidenzi­ali». Sarà infatti necessario avviare nuovi processi di consultazi­one, complicati dall’opposizion­e degli ambientali­sti e di molte forze politiche, ed è probabile che ci saranno anche numerose battaglie in tribunale.

Nel frattempo difficilme­nte le utilities cambierann­o i piani di investimen­to, che rispondono a strategie economiche di lungo periodo. Il ceo di Duke Energy Corp, Lynn Good, è stato molto chiaro in proposito: «Visto il prezzo competitiv­o del gas e la discesa dei costi delle rinnovabil­i continuare a tagliare le emissioni di Co2 per noi ha senso». La società non rinuncerà quindi al piano decennale, che prevede di investire 11 miliardi di dollari in centrali a gas o fonti rinnovabil­i (a scapito del carbone).

Quello di Duke Energy è un orientamen­to molto diffuso nel settore, rafforzato dal fatto che al- cuni Stati – come la California e lo Stato di New York – non hanno alcuna intenzione di fare passi indietro nelle politiche contro il climate change. Anzi, proprio in questi giorni le hanno rafforzate.

La chiave è nei prezzi

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