Export Usa oltre un milione di barili al giorno
pLe esportazioni di petrolio dagli Usa sono tornate a superare un milione di barili al giorno la settimana scorsa. In precedenza era successo solo per un breve periodo a febbraio. Il forte aumento dell’export ha rallentato l’accumulo di scorte, salite “solo” di 867mila barili. Quelle di benzine invece sono calate di 3,7 milioni di barili, incoraggiando il mercato. Sostenuto anche dal blocco di due giacimenti in Libia, che prosegue, il Brent ha chiuso a 52,42 $ (+2,1%).
Al di là degli aspetti regolatori, le variabili chiave sono comunque da un lato il prezzo delle risorse e dall’altro il costo e il grado di sviluppo delle tecnologie. Del resto è stato durante la presidenza di Obama, più sensibile ai temi ambientali, che la produzione di idrocarburi negli Usa ha vissuto uno dei periodi di maggiore sviluppo nella storia, grazie allo sfruttamento dello shale gas e dello shale oil. E negli stessi anni il carbone ha perso terreno nella competizione tra fonti: la sua quota nel mix di generazione Usa è scesa dal 50% di una decina di anni fa al 30% nel 2016, quando è stato superato dal gas, che essendo più economico è salito al 34%.
La produzione di carbone negli Usa – non certo per colpa di regolatori occhiuti – è crollata ai minimi da quarant’anni nel 2016 e dal 2011 l’industria ha perso circa 60mila addetti, vittime della crisi ma anche dell’automazione dei processi estrattivi. Ora restano appena 77mila minatori nel Paese e nonostante la propaganda di Trump è improbabile che il loro numero crescerà. Anche la rimozione della moratoria sulle licenze minerarie in terreni federali per ora non interessare a nessuno: le società carbonifere assicurano di avere riserve più che sufficienti per molti anni a venire.