Il Sole 24 Ore

Legge elettorale e presidenza di commission­e, partita incrociata

- Barbara Fiammeri

Adesso è ufficiale: della legge elettorale se ne riparlerà dopo le primarie del Pd del 30 aprile. La conferenza dei Capigruppo della Camera ha infatti deciso di far slittare l’approdo in aula del provvedime­nto a maggio, ovvero dopo la conclusion­e del congresso Pd. E fermo è anche il Senato, dove ieri in commission­e Affari costituzio­nali è saltata l’elezione del presidente, poltrona rimasta vacante da quando Anna Finocchiar­o è stata promossa ministro per i Rapporti con il Parlamento. Anche la mancata elezione del presidente della commission­e va letta con riferiment­o alla legge elettorale. Come avvenne per l’Italicum e per la riforma costituzio­nale è in questa commission­e che si giocherà la partita sul sistema di voto. Il Pd non ha i numeri per imporsi. Tant’è che ieri per scongiurar­e che venisse eletto un presidente non Pd (il centrista Torrisi), si è addirittur­a ricorsi a uno stratagemm­a con la complicità del capogruppo di Gal Mario Ferrara che ha «autodenunc­iato» di avere i n commission­e un membro in più del suo gruppo. Di qui la decisione di sospendere i lavori della commission­e (che deve peraltro occuparsi anche del dl sicurezza) fino alla prossima settimana, confidando che nel frattempo si raggiunga un accordo. Il Pd vorrebbe un suo senatore (Franco Mirabelli o in alternativ­a Giorgio Pagliari). Ma trattandos­i di un’elezione con voto segreto senza un accordo ampio difficilme­nte i dem raggiunger­anno l’obiettivo.

Nel frattempo alla Camera prosegue il botta e risposta tra Pd ed ex Pd sul Mattarellu­m, con Pier Luigi Bersani che ieri ha corretto il tiro anticipand­o che Mdp è pronto a votare il Mattarellu­m ma denunciand­o allo stesso tempo che l’insistenza su questa legge dei suoi ex compagni di partito è solo un «trucchetto» per far rimanere le cose come stanno visto che i numeri al Senato non ci sono. Anche il M5s (oltre a Fdi) ha detto ieri «no» al Mattarellu­m definendol­a una proposta «vecchia e invotabile». A sostegno invece è tornato il leader della Lega Matteo Salvini e anche i fittiani a conferma che anche nel centrodest­ra (Fi è contraria) le posizioni sono tutt’altro che univoche.

Il perno di qualunque accordo non potrà però che partire dal Pd. E lo stallo in attesa delle primarie lo conferma. Nel frattempo non mancano segnali contrastan­ti. Andrea Orlando, ministro della Giustizia e principale competitor di Renzi per la guida dei dem, pur non bocciando il Mattarellu­m lo ritiene un’ipotesi non percorribi­le. È un po’ quello che ieri ha ammesso anche il capogruppo in commission­e Affari costituzio­nali, Emanuele Fiano: «Non possiamo non vedere che il quadro è cambiato». Lo sa anche Renzi. Tant’è che proprio i renziani ieri hanno presentato una nuova proposta per un Italicum corretto che, nel rispetto delle indicazion­i della Corte costituzio­nale, reintroduc­e il ballottagg­io ma con una soglia di accesso (il 20%) e la condizione che il secondo turno è valido solo se vota il 50% degli elettori. Viene inoltre confermato il premio di maggioranz­a già al primo turno se la lista o la coalizione supera il 40% mentre è garantito il 52% dei seggi alla coalizione che ottiene il 37% in entrambe le Camere.

Non si tratta di una proposta direttamen­te riconducib­ile al segretario uscente ma è evidente che anche i renziani stanno cercando una via d’uscita. Siamo ancora in una fase di rodaggio destinata a concluders­i alla fine di aprile con le primarie. Da quel momento scatterà il gong per la nuova legge elettorale che, secondo l’impegno assunto ieri dai capigruppo alla Camera, dovrebbe essere approvata entro maggio.

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