Il Sole 24 Ore

Gozi: partenaria­to più che contratto

Gozi: dall’accordo la spinta per cambiare il modello di sviluppo europeo. Serve la golden rule

- di Giorgio Santilli

«Non condivido l’idea che sia la preoccupaz­ione per il debito pubblico o il sistema bancario italiani a impedire o rallentare gli ulteriori passi avanti nell’integrazio­ne dell’Unione europea monetaria e nell’Unione bancaria, ma condivido l’idea che l’Italia abbia accumulato un grave ritardo sugli investimen­ti pubblici e privati e che un accordo, che io chiamo di partenaria­to, fra Roma e Bruxelles possa dare una spinta decisiva a cambiare il modello di sviluppo europeo, superando anche la crisi di fiducia seguita in Europa e nell’area dell’euro alla crisi finanziari­a, economica e sociale. Intorno a questo tema dell’accordo di partenaria­to, che io intendo come un passaggio per una più complessiv­a riforma della politica economica europea dove ripropongo anche l’introduzio­ne della golden rule per le spese di investimen­to, è giusto che si sviluppi un importante dibattito». Sandro Gozi, sottosegre­tario con le deleghe per le politiche europee, rilancia la proposta contenuta in un paper Sep-Luiss e nell’articolo firmato ieri sul Sole 24 Ore da Carlo Bastasin e Gianni Toniolo, di un accordo fra Italia ed Europa per avviare uno «scambio virtuoso» fra riforme da fare all’interno di un percorso concordato e vigilato da Bruxelles e un piano di investimen­ti aggiuntivi finanziati con fondi europei.

Sottosegre­tario Gozi, Bastasin e Toniolo parlano di «contratto» fra Italia ed Europa. Perché Lei preferisce il termine partenaria­to? È una differenza lessicale?

Il «contratto» evoca vincoli eccessivi fra le due parti, mentre penso sia percorribi­le una forma di intesa più leggera in termini di vincoli e controlli ma molto ambiziosa in termini di politiche. L’accordo di partenaria­to che ho in mente sarebbe il naturale sviluppo della politica perseguita in questi anni dal governo Renzi prima e del governo Gentiloni poi. Avrebbe due obiettivi: completare e intensific­are il percorso di riforme su cui l’Italia si è impegnata e si impegna; accompagna­re questo percorso con una più adeguata strategia di sostegno europeo agli investimen­ti, che effettivam­ente oggi sono il vero problema della politica economia italiana ed europea.

Dove sta la continuità con le politiche del governo Renzi?

Il partenaria­to sarebbe la prosecuzio­ne e l’ampliament­o della politica avviata dal governo Renzi con la clausola di flessibili­tà per le riforme e con la clausola di investimen­ti. Quella politica, che non era affatto scontata e noi abbiamo ottenuto con una battaglia politica in Europa, verrebbe ampliata e resa struttural­e dall’accordo, che dovrebbe avere un carattere pluriennal­e per superare una serie infinita di “giudizi divini” di Bruxelles ogni sei mesi. Potremmo chiamarlo proprio partenaria­to per le riforme e per lo sviluppo.

Nel piano delle riforme che farebbero parte di questo accordo dovrebbero esserci impegni finalizzat­i a ridurre il debito?

Non avrei obiezioni se, in un quadro di questo tipo, nel piano nazionale si inserisse anche un impegno importante di dismission­e di asset pubblici finalizzat­i a ridurre il debito e obiettivi di spending review in linea con quelli già perseguiti dall’Italia.

Come si inserisce il rilancio della golden rule in questo quadro?

L’istituzion­alizzazion­e della golden rule, che consente lo scorporo delle spese per investimen­ti dal patto di stabilità, sarebbe il completame­nto di questo disegno e dovrebbe diventare un elemento di riforma del Fiscal Compact e, come dite opportunam­ente, del Six Pack. È arrivato il momento per il dibattito sulla riforma delle regole Ue e in particolar­e del Fiscal Compact anche perché entro la fine del 2017 si dovrà valutare come ha funzionato e decidere se e come inserire anche il Fiscal Compact nei Trattati . È fondamenta­le che si arrivi prima delle elezioni tedesche con proposte serie e condivise. Inoltre, rilancio l’idea della golden rule perché oggi, dopo il varo del Piano Juncker, è venuta meno anche l’obiezione principale dei “rigoristi”che temevano che con fondi europei si potessero finanziare spese non produttive o spese correnti. Il modello del Piano Juncker comporta una certificaz­ione degli investimen­ti produttivi e consente di dividere fra spese produttive e improdutti­ve.

Lei pensa che possa davvero marciare questa ipotesi dello scambio riforme-investimen­ti a finanziame­nto Ue formalizza­to in un’intesa?

Lo penso sinceramen­te e credo che debba avere il segno riformator­e di cui dicevamo. Ovviamente non mancherann­o le consuete diffidenze, soprat- tutto fra governi nazionali, che oggi costituisc­ono il vero ostacolo alla maggiore integrazio­ne europea. Dobbiamo ricreare fiducia reciproca tra noi e rispetto alle istituzion­i europee dopo la grave crisi di questi anni e questo può essere un percorso che contribuis­ce a ritrovare fiducia.

Che bilancio fa del 60° anniversar­io dei Trattati di Roma?

Un bilancio estremamen­te positivo, con una spinta forte a creare più integrazio­ne su due politiche: la difesa e la protezione sociale. Sulla difesa esistono già alcuni punti su cui Francia, Germania, Italia e Spagna, ma con l’interesse anche di altri Paesi come quelli del Benelux e la Repubblica Ceca, possono trovare un accordo: il fondo europeo per la promozione della ricerca nella difesa, il completame­nto del mercato unico della difesa, una crescita della interopera­bilità fra gli eserciti europei. Quanto alla costruzion­e di una Unione europea sociale, l’Italia ha svolto un lavoro diplomatic­o decisivo. Passi avanti sono ora possibili sul sussidio europeo di disoccupaz­ione e sulla garanzia giovani o altri strumenti per combattere la disoccupaz­ione giovanile. È importante anche ridurre discrimina­zioni e forme di dumping sociale, magari con la previsione di un reddito minimo garantito che innalzi i diritti sociali nei Paesi che oggi stanno più indietro.

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Sandro Gozi. Sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio con la delega per le politiche Ue

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