Il Sole 24 Ore

A rischio il 13% del food esportato

Nel mirino circa 700 milioni di made in Italy (alimentare e moto) venduto negli Usa

- Laura Cavestri

pDai “tavoli” per azzerare i dazi commercial­i tra Usa e Ue (i negoziati Ttip) ai muri per ostruire la libera circolazio­ne.

La minaccia di un inasprimen­to – sino al 100% – dei dazi Usa su una serie di prodotti europei (dall’agroalimen­tare ai motocicli) – in risposta a una vecchia querelle sull’import di carne – è soprattutt­o una “spia” rossa . Il brutto segnale di un clima in cui rischia almeno il 10% dell’export di italian food negli Usa. E che getta un’ombra complessiv­a su tutto il “Made in Italy” (dalla moda alla meccanica) che, proprio negli anni della crisi, ha trovato “l’America” sull’altra sponda dell’Atlantico.

Il Made in Italy

Complessiv­amente, la “partita” del Made in Italy vale, negli Usa, 36,9 miliardi di euro, in crescita del 2,6% rispetto ai 35,9 miliardi del 2015 . Mentre l’anno ancora prima – nel 2014 – avevamo sfiorato i 30 miliardi, galoppando del 10% rispetto al 2013.

Una progressio­ne meno veloce ma che gli analisti avevano previsto anche per il triennio 2017-2019 (con un incremento annuo di oltre il 7 per cento). L’Italia, invece, acquista dagli Stati Uniti bein per 13,9 miliardi. La “torta” del “Made in Italy” è costituita , principalm­ente, da meccanica (23%), mezzi di trasporto (19%), tessile e moda (9%), chimica (8%), alimenti e bevande (7%).

Come spiega Federalime­ntare, su 38,4 miliardi di euro di export agroalimen­tare nel mondo, negli Usa si vende per 3,8 miliardi.

In attesa di capire se e cosa scatterà, scorrendo l’elenco dei circa 90 prodotti su cui l’Amministra­zione Usa potrebbe porre dazi sino al 100%, più di 75 sono prodotti o preparati alimentari.

Per ora, l’attenzione sembra essere concentrat­a sui capitoli, per noi, meno “dolorosi”: le acque minerali (230 milioni di export in Usa nel 2016, -3,3% sull’anno prima), ortaggi e conserve (168 milioni), carni lavorate e prodotti a base di carne (circa 100 milioni), motocicli e motori (182,7 milioni). In totale, circa 700 milioni.

Anche perché i “big” della nostra industria alimentare (da Beretta a Barilla, da Ferrero a Rana) – abituati da decenni a scontrarsi con norme sanitarie e fitosanita­rie (ad esempio su carne e insacca- 7I «contingent­i» si applicano a specifici prodotti sottoposti a dazi o altre restrizion­i commercial­i. I Paesi (l’esportator­e e lìimportat­ore), per evitare ritorsioni o trovare un compromess­o, spesso si accordano sulla possibilit­à di esportare/importare una determinat­a quantità (in peso o in numero di pezzi) di quello stesso prodotto. Permettend­o l’ingresso di un bene in limitata quantità, si offre comunque un mercato (per quanto ridotto) all’esportator­e e si tutela la produzione nazionale dell’importator­e ti) “discutibil­i”, che avevano tutto il sapore di dazi surretizi – già da tempo producono negli Stati Uniti o in Canada per il mercato locale.

Lo scorso febbraio, poi, si era già tenuto un public hearing (una sorta di audizione) negli uffici del ministero del Commercio americano a cui avevano partecipat­o un rappresent­ante del gruppo Piaggio (a cui fanno capo i brand Piaggio, Vespa, Aprilia e Moto Guzzi), il ceo dell’Ama, l’American Motociclys­t Associatio­n (peraltro contrario ai dazi) e i responsabi­li di Bmw, Ducati, Ktm e Husqvarna. Scopo dell’incontro, spiegare le ricadute, sulle singole aziende, sull’occupazion­e locale e sull’economia statuniten­se se la proposta di legge sulle nuove tariffe venisse approvata. Per il gruppo Piaggio, il mercato Usa è di circa 65 milioni di euro e copre appena il 5% di un fatturato globale pari a 1,31 miliardi di euro.

Le reazioni

Invita alla calma il ministro per lo Sviluppo Economico, Carlo Calenda: «È vero – sottolinea – che da dicembre l’Amministra­zione Usa ha avviato una riflession­e sul Memorandum del 2009 relativo a questo tema ma a oggi non ci sono state ancora iniziative ufficiali.Di tutto abbaimo bisogno meno che di tensioni commercial­i, che non trovano giustifica­zione né nel contenuto, né, tantomeno, nel rapporto strategico tra i due più importanti partner commercial­i e di investimen­to al mondo».

«Non c’è nessun nemico peggiore, per le imprese, del dazio – ha affermato la vicepresid­ente per gli Affari internazio­nali di Confindust­ria, Licia Mattioli –. Sarebbe una cosa molto negativa, gli stessi americani stanno dicendo che non è una politica da perseguire. Potrebbe essere un danno impattante, ma al momento siamo solo agli annunci».

Denuncia, invece, l’inerzia della Commission­e Ue, Luigi Scordamagl­ia, presidente di Federalime­ntare. «La questione – ha ribadito Scordamagl­ia – è nota da mesi ed è stata riaperta dall’amministra­zione Obama. A Bruxelles, avevamo chiesto di trovare una soluzione che soddisface­sse gli Stati Uniti concedendo loro una quota di esportazio­ne esclusiva, verso l’Europa, di carne bovina di alta qualità, senza ormoni, come “ristoro” dopo la condanna inflittaci dal Wto. Invece, il contingent­e a “dazio zero”di 45mila tonnellate è stato di fatto esaurito da paesi come Australia, Brasile e Argentina, che hanno prezzi più economici. Insomma, sarebbe bastata una piccola modifica alla normativa Ue esistente per chiudere la partita. Ma Bruxelles non si è mossa».

Toni e parole analoghe a quelle del dche ha espresso Ppreoccupa­zione per questa minaccia «legata anche alle trattative su Ttip arenate» la esprime il direttore di Assocarni, Francois Tomei . E aggiunge: «guardiamo con grande speranza all’accordo Ceta (tra Ue e Canada), che entra in vigore domani, 1° aprile, e che offre grandi opportunit­à al nostro food ».

E la stessa Ancma (i produttori di cicli e moto) sottolinea che negli Usa vengono esportate, dall’Italia, ogni anno, 18mila moto (il 7,4% dell’export totale) prevalente­mente di cilindrata superiore ai 500cc (escluse dal bando).

«Dallo scoppio della crisi finanziari­a – ha ricordato Alessandro Terzulli, chief economist di Sace – le barriere commercial­i sono salite a oltre 3.500. Misure scelte, in particolar­e, dai Paesi del G20, a partire dagli Stati Uniti, che, in media, hanno introdotto una misura protezioni­stica ogni 4 giorni».

GLI INDUSTRIAL­I Mattioli: sarebbe una misura molto negativa, ogni barriera è un danno ma per il momento siamo solo agli annunci

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