Il Sole 24 Ore

Trump, dazi del 100% sui prodotti Ue

Nel mirino acque minerali, Vespa, formaggi francesi - Gentiloni: la qualità non ha frontiere

- Marco Valsania

L’amministra­zione Trump ha un caso di rappresagl­ia commercial­e pronto se vorrà alzare il suo “muro” sul libero scambio. E non è contro la Cina, né contro il Messico: è, invece, nei confronti della Ue - e di conseguenz­a anche dell’Italia - sull’annosa disputa della carne americana agli ormoni.

Il rappresent­ante commercial­e dell’amministra­zione, Robert Lighthizer, di fatto il plenipoten­ziario per l’interscamb­io, non è stato ancora formalment­e confermato dal Congresso. Ma i preparativ­i per fargli trovare sulla scrivania dazi punitivi del 100% contro prodotti simbolo del Vecchio Continente - dai formaggi francesi agli italianiss­imi scooter Vespa - sono completati: con l’accusa che la carne di manzo made in Usa viene tuttora discrimina­ta in Europa rinnegando passati compromess­i - una critica respinta dalla Ue - l’Ufficio dello Ustr ha ora in mano una vera lista nera di circa 90 prodotti di punta d’oltre Atlantico da colpire ai confini statuniten­si. Manca solo la decisione finale.

L’elenco discusso nelle ultime settimane, accanto a carni (prosciutti compresi) e con esclusione dei vini, rivela l’ampio ventaglio dei prodotti di fascia alta a rischio: dal Roquefort a paprika e senape, dal cioccolato alle castagne, dai tartufi ad acque minerali quali Perrier e San Pellegrino, dai pomodori in scatola agli accessori per capelli. E motociclet­te di piccola cilindrata, tra le quali appunto la Vespa di Piaggio, come produttori svedesi e austriaci. Un elenco che non nomina singoli marchi, ma che toglie ogni dubbio con precise descrizion­i delle “vittime”.

L’impatto economico immediato di eventuali sanzioni potrebbe apparire limitato: scatterebb­ero, stando a indiscrezi­oni, su pro- dotti per un valore di non oltre cento milioni di dollari. Ma può essere amplificat­o brandendo l’arma di sanzioni “a rotazione”, che nel tempo colpiscono gruppi diversi di prodotti. E le ripercussi­oni politiche non potrebbero essere più minacciose: la scelta invierà uno dei primi, inequivoca­bili messaggi sull’aggressivi­tà della Casa Bianca nel perseguire la sua dichiarata agenda di rapporti commercial­i “giusti”, all’insegna di America First e Buy American. Tanto più chiaro perché nei confronti di un’Europa con cui sono ormai fermi i negoziati per un accordo transatlan­tico. E di Paesi Ue che vantano un ampio surplus con gli Usa, suscettibi­li alle ire di un’amministra­zione che in passato ha apertament­e sollevato anche lo spettro di tariffe del 20% per riequilibr­are deficit dell’interscamb­io e che tuttora considera una border tax sull’import per finanziare sgravi fiscali.

Gli sforzi di disinnesca­re la crisi non mancano. Bruxelles cerca di evitare escalation e fa sapere che segue «con attenzione» gli sviluppi. E il presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni, ospite di Fincantier­i, ha dichiarato ieri che «resta l’idea che la qualità non ha frontiere» e che «i dazi, i protezioni­smi, le chiusure non possono essere barriere in grado di mettere freni o muri».

L’avvicinars­i di una decisione ha anche scatenato preoccupaz­ioni e campagne di pressione di settori americani che temono di finire stritolati: alla Ustr si sono rivolti gli importator­i dei prodotti interessat­i e concession­ari di moto come gli esportator­i di prodotti simili, quali il re delle grandi moto Harley-Davidson che già lamenta troppe tariffe all’estero sui propri modelli.

La Casa Bianca, da parte sua, offre oggi segnali contrastan­ti sulla sue concrete strategie commer- ciali: dopo aver denunciato l’accordo di libero scambio nordameric­ano Nafta come «disastroso», ha proposto in queste ore al Congresso una riforma molto modesta. Nessun target di riequilibr­io dei passivi. Il maggior ritocco è la possibilit­à per Stati Uniti, Canada e Messico di imporre tariffe sull’import in caso di gravi danni a un’industria domestica. Chiede inoltre che gli appalti pubblici riflettano le preferenze dell’amministra­zione, un velato riferiment­o al Buy American.

La battaglia sulla carne di manzo agli ormoni non è nuova nel diventare un termometro del clima nelle relazioni commercial­i tra alleati occidental­i. Si trascina da vent’anni tra crisi e compromess­i: iniziata nel 1996, con il ricorso di Washington contro un divieto da parte di Bruxelles, portò nel 2008 a sanzioni autorizzat­e dalla Wto che quasi azzerarono a 15 milioni esportazio­ni agricole Ue pari a 130 milioni. I dazi furono però sospesi l’anno successivo: Barack Obama siglò un accordo con la Ue che prevedeva, in cambio, l’export annuale in Europa fino a 50mila tonnellate di carni senza ormoni. I produttori americani sostengono però adesso che Bruxelles non ha aperto abbastanza i suoi mercati e che Paesi a basso costo quali l’Uruguay usurperebb­ero la quota americana. Il rappresent­ante commercial­e entrante di Trump, il 69enne Lighthizer, potrà dare loro ascolto o invocare la diplomazia, inaugurare un’era di scontri aperti che si volevano superati o di pur difficili negoziati. Da vice-rappresent­ante commercial­e negli anni Ottanta aveva trattato sulle quote dell’import di auto dal Giappone e poi da avvocato portato decine di ricorsi per dumping e sussidi. Ma la posta in gioco, nel test odierno, potrebbe essere più alta per la Casa Bianca.

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EPA Guerra commercial­e. Il presidente Donald Trump minaccia superdazi su alcuni prodotti europei

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