Così si allarga il solco con l’Unione europea
pDal negoziato per la creazione di un’area di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico con la Ttip, alla minaccia di imporre un dazio del 100% su circa 90 prodotti made in Ue: è un fossato quello che divide le relazioni commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea, dopo appena due mesi di amministrazione Trump. E l’ultima salva sparata, il super-dazio appunto, è destinata ad ampliare il solco, anche se si trattasse solo di un’altra delle boutade di «The Donald», destinata magari a ridimensionarsi (come il caso Nafta potrebbe suggerire) e non già inve- ce di prove tecniche di guerra commerciale.
Le incomprensioni tra Washington e Bruxelles, generate dalla muscolare retorica di Trump e dei suoi collaboratori più “falchi”, cominciano infatti a sommarsi. A partire dalle affermazioni di Ted Malloch, il professore scelto per rappresentare gli Stati Uniti nelle istituzioni comunitarie, che si augura di poter contribuire a dissolvere la Ue, come dice di aver già fatto con l’Unione sovietica. Per continuare poi con le dichiarazioni del consigliere alla Casa Bianca per le politiche commerciali, quel Peter Navarro che attacca la Germania e il suo surplus commerciale (65 miliardi di dollari), ottenuto, a suo dire, nascondendo la forza della sua economia dietro una moneta “debole”, rispetto ai parametri tedeschi, come l’euro. Senza dimenticare le minacce alla Volkswagen, rea di produrre in Messico le auto che vende negli Stati Uniti.
È vero anche che alle dichiarazioni dei “falchi”, seguono spesso parziali correzioni di rotta da parte di ministri chiave, come il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, il segretario di Stato, Rex Tillerson, o il segretario al Commercio, Wilbur Ross. Una certa inquietudine a Bruxelles tuttavia serpeggia, se non altro per la difficoltà di orientarsi fra le diverse anime dell’amministrazione Trump.
Ieri, la Commissione europea ha evitato di replicare alla minaccia del super-dazio, limitandosi a far sapere che sta «seguendo la situazione da vicino». Il 13 febbraio, il commissario al Com- mercio e vicepresidente della Commissione, Jyrki Katainen, aveva chiarito che l’Europa vuol evitare una guerra commerciale con gli Stati Uniti, ma che sarebbe pronta a reagire se Washington dovesse erigere barriere tariffarie: «Se qualcuno agisce contro i nostri interessi o contro le regole internazionali del commercio, abbiamo i nostri meccanismi di difesa», aveva dichiarato Katainen.
Un mese dopo, il 12 marzo, proprio alla vigilia del teso vertice Merkel-Trump a Washington, era stato il ministro dell’Economia tedesca, Brigitte Zypries, a minacciare ricorsi alla Wto contro un’eventuale board adjustment tax statunitense.
Così come il naufragio del Ttip non è esclusivamente attribuibile alla svolta sovranista della Casa Bianca, nemmeno le dispute commerciali tra Stati Uniti e Unione europea nascono con l’amministrazione Trump. Alla Wto pendono 19 ricorsi Usa contro Bruxelles e 33 azioni promosse dalla Ue contro gli Stati Uniti. La stessa lite sulla carne Usa, che sta alla base della minaccia di ritorsione commerciale contro la Ue, è stata portata davanti alla Wto addirittura nel 1996. Né gli Stati Uniti sono nuovi all’utilizzo di dazi e barriere non tariffarie a tutela delle proprie produzioni. Trump, però, minaccia di portare il protezionismo Usa su un livello tutto nuovo.
Proprio ieri il dipartimento del Commercio ha concluso un’indagine che accusa una serie di produttori esteri di aver usato tecniche di dumping per vendere acciaio negli Stati Uniti, i quali si preparano quindi a introdurre dazi difensivi fino al 148%, come ha annunciato Ross. Colpiranno esportatori con base in Austria, Belgio, Francia, Germania e Italia (ma anche in Giappone, Corea del Sud e Taiwan). Il dazio più pesante (148,02%) colpisce Industeel France, mentre in Italia, tra le aziende prese di mira dal dipartimento anti-dumping americano, ci sono Tecnosider (con un dazio del 6,08%) e Marcegaglia e Nlmk Verona (22,19%).
LO SCENARIO Le dispute con Bruxelles non nascono oggi, ma Trump minaccia di portare il protezionismo Usa a livelli nuovi