Il Sole 24 Ore

Corre il Pil Usa, euro sotto 1,07 dollari

L’inflazione tedesca, scesa a marzo all’1,5%, deprime le quotazioni della moneta unica

- Andrea Franceschi

L’economia americana cresce più del previsto. Il dipartimen­to del commercio Usa ieri ha comunicato l’aggiorname­nto del dato sul Pil relativo al quarto trimestre 2016 che è stato rivisto al rialzo. Dal +1,9% comunicato in precedenza si è passati a una crescita del 2,1 per cento. Il dato ha avuto immediate ripercussi­oni di mercato. Gli investitor­i, che da qualche tempo a questa parte avevano rivisto la propria posizione rialzista sul dollaro legata alla prospettiv­a di un rilancio dell’economia e di una stretta sui tassi della Federal Reserve, sono tornati sui loro passi. Sono così ripartiti gli acquisti sul dollaro e le vendite sui titoli di Stato. Il rendimento dei Treasury decennali (il cui andamento è inversamen­te proporzion­ale al prezzo) è passato da un minimo del 2,37 a un massimo di giornata del 2,41% mentre il dollar index, che misura l’andamento del biglietto verde rispetto alle principali contropart­i, è tornato sui livelli di metà marzo.

La ripresa del dollaro si è accompagna­ta ad un netto ridimensio­namento dell’euro. Lunedì la moneta unica era risalita fino a 1,09 dollari dopo la debacle di Trump sulla riforma sanitaria che aveva portato gli investitor­i a scommetter­e al ribasso sul dollaro. Questa fiammata tuttavia si è rapidament­e riassorbit­a e ieri l’euro è tornato sotto la soglia di 1,07 dollari. Dai massimi di 1,0903 toccati lunedì ai minimi di giornata visti ieri (1,069) la variazione per- centuale è stata di quasi il 2 per cento. Tantissimo per il mercato valutario. Negli ultimi mesi gli investitor­i hanno iniziato a mettere in conto la fine degli stimoli monetari (Quantitati­ve easing) e il prossimo avvio di una normalizza­zione dei tassi da parte della Bce. Decisivo in questo cambio di aspettativ­a è stata la risalita dell’inflazione in tutta l’Eurozona. Ieri tuttavia sono state pubblicate delle statistich­e che hanno costretto gli investitor­i a rivedere i loro conti: quelle sull’andamento dei prezzi al consumo in Germania (vedi nel dettaglio il pezzo in pagina). Dopo il balzo del 7 Il termine «tapering» viene usato per indicare il momento in cui una banca centrale inizia a ridurre gradualmen­te gli acquisti di titoli e dunque la portata del quantitati­ve easing. La Bce, che da aprile ridurrà gli acquisti da 80 a 60 miliardi mensili, ha ribadito che non si tratta di un «tapering» ma di una ritaratura del Qe. Il mercato lo ha comunque interpreta­to come tale come dimostra la recente risalita dei tassi dei titoli di Stato. 2,2% registrato a febbraio l’inflazione nella prima economia dell’area euro è infatti scesa ad un più modesto +1,5 per cento. Lo stesso copione si è visto in Spagna dove la crescita dei prezzi si è nettamente ridimensio­nata passando dal +3% di febbraio al +2,3 per cento. Questi numeri hanno per forza di cose ridimensio­nato le attese del mercato in vista della pubblicazi­one del dato sull’inflazione nell’Eurozona prevista per oggi (le attese degli analisti, secondo il consensus di S&P Market Intelligen­ce, indicano una crescita dell’1,9%). La stessa Bce ha voluto dare un messaggio ai mercati quando mercoledì l’agenzia Reuters, citando le fonti interne alla banca centrale, ha parlato di preoccupaz­ioni dei banchieri centrali circa le ripercussi­oni di una risalita brusca dei rendimenti sulla tenuta dei debiti pubblici dei Paesi periferici e dell’intenzione di voler chiarire ai mercati che la fase di politica espansiva è ancora lontana dalla sua conclusion­e. In questo contesto si inquadrano anche le dichiarazi­oni del capo economista della Bce Peter Praet («non siamo convinti che la risalita dell’inflazione sarà durevole») così come quelle dell’austriaco Ewald Nowotny («non vogliamo rialzare i tassi prematuram­ente»). Meno quelle dell’olandese Klaas Knot che ieri ha parlato di una graduale riduzione del Qe («tapering») già a partire da gennaio del prossimo anno.

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