Corre il Pil Usa, euro sotto 1,07 dollari
L’inflazione tedesca, scesa a marzo all’1,5%, deprime le quotazioni della moneta unica
L’economia americana cresce più del previsto. Il dipartimento del commercio Usa ieri ha comunicato l’aggiornamento del dato sul Pil relativo al quarto trimestre 2016 che è stato rivisto al rialzo. Dal +1,9% comunicato in precedenza si è passati a una crescita del 2,1 per cento. Il dato ha avuto immediate ripercussioni di mercato. Gli investitori, che da qualche tempo a questa parte avevano rivisto la propria posizione rialzista sul dollaro legata alla prospettiva di un rilancio dell’economia e di una stretta sui tassi della Federal Reserve, sono tornati sui loro passi. Sono così ripartiti gli acquisti sul dollaro e le vendite sui titoli di Stato. Il rendimento dei Treasury decennali (il cui andamento è inversamente proporzionale al prezzo) è passato da un minimo del 2,37 a un massimo di giornata del 2,41% mentre il dollar index, che misura l’andamento del biglietto verde rispetto alle principali controparti, è tornato sui livelli di metà marzo.
La ripresa del dollaro si è accompagnata ad un netto ridimensionamento dell’euro. Lunedì la moneta unica era risalita fino a 1,09 dollari dopo la debacle di Trump sulla riforma sanitaria che aveva portato gli investitori a scommettere al ribasso sul dollaro. Questa fiammata tuttavia si è rapidamente riassorbita e ieri l’euro è tornato sotto la soglia di 1,07 dollari. Dai massimi di 1,0903 toccati lunedì ai minimi di giornata visti ieri (1,069) la variazione per- centuale è stata di quasi il 2 per cento. Tantissimo per il mercato valutario. Negli ultimi mesi gli investitori hanno iniziato a mettere in conto la fine degli stimoli monetari (Quantitative easing) e il prossimo avvio di una normalizzazione dei tassi da parte della Bce. Decisivo in questo cambio di aspettativa è stata la risalita dell’inflazione in tutta l’Eurozona. Ieri tuttavia sono state pubblicate delle statistiche che hanno costretto gli investitori a rivedere i loro conti: quelle sull’andamento dei prezzi al consumo in Germania (vedi nel dettaglio il pezzo in pagina). Dopo il balzo del 7 Il termine «tapering» viene usato per indicare il momento in cui una banca centrale inizia a ridurre gradualmente gli acquisti di titoli e dunque la portata del quantitative easing. La Bce, che da aprile ridurrà gli acquisti da 80 a 60 miliardi mensili, ha ribadito che non si tratta di un «tapering» ma di una ritaratura del Qe. Il mercato lo ha comunque interpretato come tale come dimostra la recente risalita dei tassi dei titoli di Stato. 2,2% registrato a febbraio l’inflazione nella prima economia dell’area euro è infatti scesa ad un più modesto +1,5 per cento. Lo stesso copione si è visto in Spagna dove la crescita dei prezzi si è nettamente ridimensionata passando dal +3% di febbraio al +2,3 per cento. Questi numeri hanno per forza di cose ridimensionato le attese del mercato in vista della pubblicazione del dato sull’inflazione nell’Eurozona prevista per oggi (le attese degli analisti, secondo il consensus di S&P Market Intelligence, indicano una crescita dell’1,9%). La stessa Bce ha voluto dare un messaggio ai mercati quando mercoledì l’agenzia Reuters, citando le fonti interne alla banca centrale, ha parlato di preoccupazioni dei banchieri centrali circa le ripercussioni di una risalita brusca dei rendimenti sulla tenuta dei debiti pubblici dei Paesi periferici e dell’intenzione di voler chiarire ai mercati che la fase di politica espansiva è ancora lontana dalla sua conclusione. In questo contesto si inquadrano anche le dichiarazioni del capo economista della Bce Peter Praet («non siamo convinti che la risalita dell’inflazione sarà durevole») così come quelle dell’austriaco Ewald Nowotny («non vogliamo rialzare i tassi prematuramente»). Meno quelle dell’olandese Klaas Knot che ieri ha parlato di una graduale riduzione del Qe («tapering») già a partire da gennaio del prossimo anno.