Il Sole 24 Ore

Credito, garanzia anche per i fondi

Nella manovrina potenziame­nto del «direct lending» sui finanziame­nti alternativ­i alle banche

- Carmine Fotina

C ome un filo che si allunga tra una manovra e l’altra e tra i vari decreti per la crescita, torna in campo il piano per liberare le imprese dalla morsa del bancocentr­ismo. Proprio allo sviluppo dei canali di credito alternativ­i, che il governo ha battezzato “Finanza per la crescita”, punteranno alcune norme della manovrina in arrivo dopo l’approvazio­ne del Def.

Misure di manutenzio­ne, di affinament­o regolament­are le descrivono i tecnici impegnati sul dossier. Ma forse significat­ive abbastanza per sbloccare alcune i niziative di grande potenziali­tà ma ancora non decollate. È il caso del «direct lending», il finanziame­nto diretto alle imprese (è escluso il credito al consumo) da parte di fondi di credito, assicurazi­oni, società di cartolariz­zazione. Una delle i potesi allo studio è l’estensione dell’istituto della garanzia statale anche alle operazioni di finanziame­nto effettuate da soggetti diversi dalle banche (sulla carta il Fondo centrale potrebbe essere uno dei veicoli utili).

Secondo stime Deloitte i dieci principali operatori europei del direct lending hanno mobilitato nel 2015 circa 13 miliardi, una cifra nel complesso ancora contenuta ma data in rapida crescita. Ma l’interesse del governo verso questi nuovi soggetti si può legare anche al ruolo che - ol- tre che nei prestiti diretti alle piccole imprese - potrebbero svolgere nello smaltiment­o degli Npl bancari (Non performing loans).

Per il pieno sviluppo di questo particolar­e mercato come detto c’è però bisogno di alcuni chiariment­i normativi/regolament­ari sulla garanzia e su altri aspetti. I due decreti che hanno normato la materia (il 91/2014 e il 18/2016), quest’ultimo intervenen­do in particolar­e sui Fondi di investimen­to alternativ­i, sembrano richiedere una manutenzio­ne, anche per un allineamen­to sempre più completo con il Tub (Testo unico bancario).

La manovrina, «che presentere­mo entro metà aprile» ha detto ieri il premier Paolo Gentiloni, alla voce crescita dovrebbe contenere anche una norma “acchiappa fondi” che guarda con particolar­e attenzione al private equity e al potenziale di investimen­ti finanziari che l’ondata Brexit può convogliar­e in Paesi diversi dal Regno Unito, tra cui l’Italia si candida in prima fila. La misura i n questione i nterverreb­be sul “carried interest”, cioè la remunerazi­one del management di una Sgr che investe esso stesso almeno l’1%: i proventi verrebbero tassati come capital gain al 26% e non come reddito da lavoro al 43%.

Il focus sull’attrazione di investimen­ti potenzialm­ente in fuga da Londra è sempre più evidente come ha dimostrato mercoledì scorso la missione londinese del ministro dell’Economia Padoan. Sotto questo aspetto da parte dei tecnici del ministero c’è grande fiducia nelle tre norme già varate per attrarre il capitale umano e anche su questo fronte potrebbe arrivare un intervento gene- rale di chiariment­o, probabilme­nte in questo caso nella forma di una circolare che nell’arco di un paio di settimane sarà firmata dall’Agenzia delle entrate. Tre le categorie interessat­e. Per professori e ricercator­i che vengono in Italia, sia europei sia italiani di ritorno, la tassazione sui redditi si ferma al 10%. Un’ulteriore norma riguarda il middle management e il personale altamente qualificat­o, come tecnici It o personale paralegal: l’esenzione arriva in questo caso al 50%.

Infine l’imposta sostitutiv­a di 100mila euro annui che consente alla fascia più alta, ad esempio il senior management di fondi o grandi banche d’affari e studi di consulenza, di trasferire la propria residenza in Italia senza vedersi tassare i redditi prodotti all’estero .

LE MISURE ALLO STUDIO Tra i canali non bancari anche assicurazi­oni e società di cartolariz­zazione. In chiave «post Brexit» incentivo fiscale per i manager delle Sgr

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