In Italia il carbone copre il 12% del fabbisogno energetico
Assocarboni: nessun revival dopo le aperture di Trump
pDopo dieci anni di crescita al 5% annuo, il commercio internazionale di carbone via mare ha rallentato il passo e si è stabilizzato nel 2016. Ma il carbone continua a essere il traino della produzione di energia elettrica con una quota del 40% a livello mondiale, che scende al 26% se ci si sposta in Europa. Il tramonto delle centrali, insomma, è ancora lontano, come spiega al Sole 24 Ore il presidente di Assocarboni, Andrea Clavarino, che oggi, in occasione del convegno “Sistema elettrico italiano: proposte per la pianificazione energetica”, organizzato a valle dell’assemblea annuale, fornirà una fotografia aggiornata del settore. «La transizione energetica non sarà immediata - sottolinea il numero uno dell’associazione - e ci vorrà più tempo di quello previsto. In prospettiva, dunque, il carbone continuerà a interpretare un ruolo chiave, sostenuto soprattutto dalle economie emergenti del sud-est asiatico che, non disponendo di gas, sono alla ricerca di una fonte di energia non costosa».
In effetti, se si scorre lo spaccato geografico fornito da Assocarboni, si nota subito che sugli 883 milioni di tonnellate di carbone da vapore scambiato nel 2016 (a fronte degli 886 milioni dell’anno prima), il saldo è rappresentato dall’aumento delle importazioni da quell’area del pianeta e dal declino europeo, soprattutto per il forte decremento del Regno Unito. In particolare, sul fronte dell’export, a farla da padrone sono paesi come l’Indonesia, che è risultata il maggior esportatore di carbone da vapore con 285,81 milioni di tonnellate, mentre, nelle importazioni, si segnalano gli aumenti registrati, per esempio, dal Vietnam (+91%), passato dai 7,08 milioni di tonnellate dal 2015 ai 13,57 milioni del 2016, o dalla Cina che ha fatto segnare un rialzo del 25% con 255 milioni di tonnellate nel 2016. «I cinesi continuano a fare la differenza - prosegue Clavarino - e rappresentano uno dei parametri a cui si guarda anche per formulare le stime sull’andamento dei prezzi che, ritengo, rimarranno sui livelli attuali nel primo semestre di quest’anno per poi mostrare una leggera riduzione nella seconda parte».
Insomma, il carbone difende le posizioni. Ma, chiarisce Clavarino, «non mi aspetto certo un revi- val dopo le dichiarazioni del presidente Usa Donald Trump che, per la verità, ha spianato la strada a tutte le fonti fossili. Lì, negli ultimi dieci anni, sono state chiuse 291 centrali e non credo ci sarà un ritorno al passato, potrebbe esserci semmai un stop all’emorragia che ha segnato il settore».
E nella penisola? Secondo Assocarboni, l’Italia è l’unico paese europeo che, pur non ricorrendo al nucleare, presenta una quota di utilizzo di carbone estremamente bassa, pari al 12%. Nel 2016, c’è stato un calo del 12,5% delle importazioni di carbone da vapore, pari a 14 milioni di tonnellate rispetto all’anno prima, mentre sono aumentate dell’11% quelle di carbone metallurgico e Pci (il carbone polverizzato) con 3,9 milioni di tonnellate (3,5 milioni del 2015). «Quello che chiediamo - chiosa Clavarino - è di mantenere l’attuale capacità che è efficiente, dotata di certificazione europea dell’Emas (Environmental Management and Audit Scheme) e ha un profilo ambientale molto avanzato». I moderni impianti ad alta efficienza e a basse emissioni attualmente disponibili in Italia, sottolinea l’associazione, emettono tra il 25 e il 33% di anidride carbonica e vantano un rendimento medio del 40% con un picco del 46% in quello di Torrevaldaliga Nord.
LE CENTRALI IN ITALIA Gli impianti della penisola vantano un rendimento medio del 40% con un picco del 46% a Torrevaldaliga Nord