Il Sole 24 Ore

Numeri in Aula, il maggiorita­rio in vantaggio sul proporzion­ale

Sulla carta il Mattarellu­m avrebbe la maggioranz­a alla Camera anche se non al Senato

- Emilia Patta Manuela Perrone

Il premio di maggioranz­a alla sola lista e non alla coalizione unisce il Pd di Renzi e il M5s. E questa non è una novità, essendo da sempre i grillini allergici alle coalizioni. Su questa base si è riaperta sottotracc­ia la trattativa in Parlamento, che gli sherpa renziani del Pd (a partire dal capogruppo Ettore Rosato e dal numero 2 del partito Lorenzo Guerini) conducono ad ampio spettro: sondando i grillini, ma anche e soprattutt­o Forza Italia. Sul premio alla lista sembra per altro essersi ricompatta­to tutto il Pd dopo la scissione dei bersaniani che hanno dato vita ai gruppi Mdp: se Dario Franceschi­ni è stato per settimane il più convinto sostenitor­e della necessità di prevedere il premio di maggioranz­a alla coalizione, lo scenario postscissi­one ha per così dire scontornat­o i confini della possibile coali- zione. Difficile, infatti, coalizzars­i con gli ex compagni di partito appena usciti dalla casa madre sbattendo la porta. E lo stesso Andrea Orlando, principale competitor di Renzi alle primarie del 30 aprile, preferisce il premio alla lista come testimonia una proposta di legge in tal senso presentata dai “giovani turchi”.

La proposta del Pd resta il ritorno al Mattarellu­m, il sistema con cui si è votato dal 1994 al 2006 e che vede per altro favorevoli anche la Lega, i bersaniani del Mdp e i verdiniani di Ala. Ma dal momento che senza i centristi di Alfano e Forza Italia, storicamen­te ostili ai collegi, il Mattarellu­m non ha i numeri, l’ipotesi alternativ­a su cui i democratic­i stanno lavorando è quella di estendere al Senato il sistema lasciato in piedi dalla Consulta per la Camera: ossia sbarrament­o a3% e premio alla sola lista che superi il 40%. Un’ipotesi che sulla carta vede favorevoli i grillini, che tuttavia mettono come condizione l’abolizione dei capilista bloccati. Dal Movimento Cinque Stelle la linea ufficiale è: sì al sistema della Camera esteso al Senato, ma con correttivi. Ovvero, appunto, senza i capilista bloccati. Ed è proprio questo il nodo che rende in salita la strada per un’intesa con il Pd nonostante gli obiet- tivi comuni delle due forze politiche. Ma in realtà, nonostante la diffidenza atavica dei Cinque Stelle verso tutti e il niet che arrivò da Beppe Grillo subito dopo la sentenza della Consulta, la porta del dialogo non è completame­nte chiusa. Dietro le dichiarazi­oni bellicose (Danilo Toninelli attacca: «Gli accordi sottobanco Renzi li faccia col gemello Berlusconi») ci sono spiragli. Roberto Fico, ora capogruppo M5S alla Camera, chiarisce: «Il Movimento non agisce fuori dalle Aule parlamenta­ri. Se il Pd vuole sostenere il Legalicum lo dica apertament­e, esca allo scoperto e lo faccia in trasparenz­a in commission­e Affari costituzio­nali». Certo è che quel che i Cinque Stelle tenteranno in ogni modo di scongiurar­e sono i collegi uninominal­i del Mattarellu­m, dove sarebbero meno forti.

I capilista bloccati respinti almeno a parole dal M5S piacciono invece a Silvio Berlusconi, e molto (l’ex Cavaliere ha interesse a portare in Parlamento una pattuglia fidata). Lo sbarrament­o al 3% inoltre è sufficient­emente basso da non trovare ostacoli da parte dei centristi di Alfano e dei bersaniani di Mdp. E l’ipotesi di eleggere un presidente alfaniano alla presidenza della Affari costituzio­nali del Senato (elezione che ha appe- na registrato l’ennesimo rinvio) prevede l’accordo all’interno della maggioranz­a sul premio alla lista anche al Senato. Tuttavia, anche ammesso che alla fine Alfano si convinca, la possibilit­à che questa soluzione passi è legata al placet di almeno uno dei due grandi partiti di opposizion­e: il M5S o Forza Italia. E qui il pallino torna a Silvio Berlusconi, che in realtà non ha ancora scelto se puntare sulla coalizione con i vecchi alleati leghisti o separare la strada della popolare Forza Italia da quella dei lepenisti nostrani, Salvini e Meloni.

La verità è che quando si tocca la legge elettorale vengono fuori una miriade di piccoli veti contrappos­ti sui dettagli, e in una situazione di debolezza della politica non sarà facile trovare la quadra. Motivo per cui sia in casa dem sia in casa grillina più di uno, a taccuino chiuso, prevede che si andrà al voto con i due Consultell­um: premio alla lista e sbarrament­o al 3% alla Camera e proporzion­ale con soglie variabili al Sanato: 3% per chi si coalizza (a patto che la coalizione arrivi nel suo insieme al 20%) e 8% per chi non si coalizza. Una soglia sufficient­emente alta da lasciare fuori da Palazzo Madama i bersaniani di Mdp, che non è l’ultimo degli obiettivi di Renzi.

Sull’estensione del Consultell­um della Camera al Senato pesa il nodo capilista

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