Il Sole 24 Ore

Toghe in politica, arriva il sì della Camera: 3 anni di limbo dopo il mandato

- Giovanni Negri

Un primo passo. Forse ancora troppo timido però. Anche solo rispetto a quanto chiese il Csm. La Camera ha approvato ieri il disegno di legge che istituisce una serie di paletti nel rapporto tra magistrati e politica. Il testo ora torna al Senato che lo aveva già approvato in una versione differente anche su punti significat­ivi. Le opposizion­i, Movimento 5 Stelle e forze di centrodest­ra, non hanno partecipat­o al voto, mentre si sono astenuti Si e Mdp.

Nel dettaglio, il disegno di legge prevede condizioni sia in ingresso sia in uscita per le toghe interessat­e alla politica nelle istituzion­i, dal Parlamento nazionale o europeo al Governo, agli enti locali. Interessat­i tutti i magistrati, ordinari, amministra­tivi, contabili e militari, in attività o fuori ruolo.

Il magistrato che si presenta alle elezioni non potrà candidarsi nella circoscriz­ione (o nell’ambito territoria­le) elettorale dove ha svolto le funzioni nei 5 anni precedenti e dovrà essere in aspettativ­a da almeno 6 mesi. Nessun divieto se si è dimesso o è in pensione da almeno 2 anni. Il magistrato a fine mandato o a fine incarico sarà collocato in un distretto di Corte d’appello diverso da quello che comprende la circoscriz­ione dove è stato eletto. Per 3 anni non potrà ricoprire incarichi direttivi o semidirett­ivi; non potrà svolgere la funzione di pubblico ministero, ma solo quelle giudicanti collegiali. Stop alla possibilit­à per sindaci o assessori in enti locali di svolgere insieme funzioni giudiziari­e e funzioni politicoam­ministrati­ve in ambiti territoria­li diversi. La carica elettiva o l’ incarico di governo, a qualunque livello, obbliga all’aspettativ­a (con collocamen­to fuori ruolo).

Se non eletto, il magistrato rientra in un ufficio che non ricade nella circoscriz­ione di candidatur­a e per 2 anni non può esercitare funzioni inquirenti. Chi si candida o accetta incarichi di governo al di fuori delle regole verrà sanzionato sul piano disciplina­re, rischiando una sanzione non inferiore alla perdita di anzianità per quattro anni.

Un anno e mezzo fa, nell’ottobre 2015, il Csm aveva invece sollecitat­o il Governo ad adottare misure più intransige­nti soprattutt­o sul versante del reingresso in magistratu­ra. Veniva infatti chiesto di disciplina­re i casi in cui il prolungato svolgiment­o di attività politico istituzion­ali impone al magistrato di abbandonar­e la toga, alla fine della esperienza politica, e di entrare nei ranghi dell’Avvocatura dello Stato o della dirigenza pubblica.

Nella versione originaria del disegno di legge approvata al Senato era stata prevista, tra l’altro, una nuova causa di astensione o ricusazion­e del magistrato, da collocare nel Codice di procedura penale, che avrebbe evitato, per esem-

COSA È RIMASTO FUORI Nel passaggio a Montecitor­io è saltata la norma che avrebbe evitato il caso Minzolini-Sinisi. Norme meno dure rispetto alle sollecitaz­ioni del Csm

pio, un caso Minzolini-Sinisi (un parlamenta­re giudicato, tra gli altri, da un ex politico di parte avversa). Detto che Minzolini si guardò comunque dal ricusare Sinisi, la versione originaria del disegno di legge prevedeva un obbligo di astensione quando il magistrato, anche solo candidato a una consultazi­one politica, si fosse trovato a giudicare una parte che nei 5 anni precedenti aveva a sua volta partecipat­o a un’elezione.

Nullo l’impatto del disegno di legge sul presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, candidato alla guida del Pd. Oggetto della legge è l’esercizio dell’elettorato passivo e le relative conseguenz­e, mentre, per la partecipaz­ione all’attività politica, come la segreteria di un partito, da parte di un magistrato resta in vigore il divieto previsto dall’ordinament­o giudiziari­o. Proprio su questo punto lunedì si terrà al Csm l’udienza disciplina­re su Emiliano, difeso dal procurator­e di Torino Armando Spataro.

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