Il Sole 24 Ore

Burke: «Per il lusso Vuitton Milano è la vetrina ideale»

- Giulia Crivelli

a «L’unica cosa che chiediamo ai designer per il progetto Objets Nomades è di avere una passione per la ricchezza e sensualità della pelle come materia prima. Il resto sta a loro, perché come ogni collezione Louis Vuitton, quella di oggetti per la casa è un esercizio di creatività». Michael Burke è diventato ceo di Louis Vuitton alla fine del 2012, quando la collezione di mobili e complement­i d’arredo della maison francese era già stata lanciata. Ma ha subito sposato l’idea di portare lo spirito Vuitton nelle case e gli Objets Nomades si sono moltiplica­ti.

«Marketing e comunicazi­one vengono dopo il processo creativo, in modo quasi naturale. Così pure il sell-out: facciamo il massimo sforzo per avere il massimo risultato, suscitare curiosità, addirittur­a entusiasmo e, cosa più importante, desiderio di comprare», aggiunge Burke, che prima di Vuitton è stato al vertice di Fendi e Bulgari, altri due marchi strategici per Lvmh, il più grande gruppo del lusso al mondo. Il ceo della storica maison francese è forse l’esempio più chiaro di come i top manager della moda e ancora di più del lusso debbano unire pragmatici­tà e capacità di controllar­e i processi aziendali al rispetto della libertà creativa. Non è mai facile lavorare in sintonia e sinergia con i designer, che a loro volta non possono permetters­i di vivere in un universo parallelo.

«La collezione Objets Nomades è perfettame­nte inserita nel grande mondo Vuitton e la distribuzi­one è organizzat­a di conseguenz­a: ogni boutique ha uno spazio dedicato agli Objets Nomades. Li vendiamo così oppure durante le fiere, occasioni in cui non avanza mai niente – precisa Burke –. Come è accadu- to a Milano nel 2015, quando il successo della presentazi­one a Palazzo Bocconi ha superato ogni aspettativ­a. Una volta esauriti i pezzi che avevamo, le persone hanno iniziato a fare ordini, magari chiedendo personaliz­zazioni».

La scelta di presentare l’evoluzione del progetto per la casa a Milano, durante la settimana del design (4-9 aprile) non è casuale: «La collezione è stata arricchita di dieci nuovi oggetti e ora ne conta in tutto 25 , grazie anche a due nuovi designer, India Mahdavi e Tokujin Yoshiokav – spiega il ceo di Vuitton –. Presentere­mo, come nel 2015, a Palazzo Bocconi, una delle molte location straordina­rie del centro storico di Milano. Tra le novità ci sono un divano dei fratelli Campana ispirato alle nuvole e alla conchiglia dipinta da Botticelli e la seduta di Atelier Oï, con cinghie in pelle che ricordano quelle tradiziona­lmente usate per le tracolle delle borse Louis Vuitton». Michael Burke iniziò a lavorare con Bernard Arnault ancora prima che l’imprendito- re e finanziere – oggi l’uomo più ricco di Francia – fondasse il gruppo Lvmh, nel 1987. Non ha mai cercato di rivoluzion­are le maison per le quali ha lavorato, ma ha sempre messo a punto strategie che le rendessero ancora più riconoscib­ili, rispettose della tradizione e allo stesso tempo in sintonia con lo Zeitgeist. In Vuitton è accaduto lo stesso: nell’era della proliferaz­ione delle definizion­i di lusso, Burke ha fatto scelte molto chiare.

«I nostri saranno sempre prodotti di nicchia. Hanno successo per questo. Quando sono arrivato, la borsa best seller era quella che aveva l’entry price. Oggi è la Capucine, che parte da 4mila euro: non è ovviamente solo questione di prezzo, ma di qualità e contenuto creativo molto diverso. Applico lo stesso ragionamen­to a tutte le categorie: profumeria, gioielleri­a, orologeria e casa. Non possiamo scendere a compromess­i sul posizionam­ento né metterlo in dubbio».

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Artigianal­i. Tre creazioni dei fratelli Campana per Vuitton, tutte realizzate a mano

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