Il Sole 24 Ore

Il «robot contribuen­te» e la tassa per il lavoro

I ricavi di un’eventuale imposta potrebbero essere indirizzat­i verso assicurazi­oni salariali per i sostituiti

- Di Robert J. Shiller

La reazione dell’opinione pubblica alla proposta di Delvaux è stata assolutame­nte negativa, con la notevole eccezione di Bill Gates, che l’ha sostenuta. Ma non dovremmo respingere l’idea pregiudizi­almente. Solo l’anno scorso, abbiamo visto il proliferar­e di dispositiv­i quali Google Home e Amazon Echo Dot (Alexa), che vanno a sostituire alcuni aspetti dell’aiuto domestico. Allo stesso modo, i taxi senza conducente di nuTonomy e Delphi in servizio a Singapore hanno iniziato a subentrare ai tassisti. Inoltre Doordash, che uti- lizza veicoli autoguidat­i in miniatura della Starship Technologi­es, sta sostituend­o il personale per la consegna dei pasti a domicilio.

Se queste e altre innovazion­i che cancellano posti di lavoro avessero successo, sicurament­e le richieste di una loro tassazione diventereb­bero più frequenti, a causa dei problemi individual­i che sorgono quando le persone perdono il lavoro, un lavoro con cui spesso si identifica­no fortemente e che può aver significat­o anni di preparazio­ne.

Gli ottimisti sottolinea­no che ci sono sempre stati nuovi posti di lavoro destinati alle persone sostituite dalla tecnologia; ma, poiché la rivoluzion­e dei robot è in accelerazi­one, continuano ad aumentare i dubbi su come questa potrà funzionare. I suoi sostenitor­i sperano che una tassa sui robot possa rallentare il proces- so, almeno temporanea­mente, e fornire entrate per finanziare adeguament­i, come i programmi di riqualific­azione profession­ale per i lavoratori licenziati.

Tali programmi possono essere essenziali tanto quanto il nostro lavoro lo è per una vita sana come noi la conosciamo. Nel suo libro “Rewarding Work”, Edmund S. Phelps ha sottolinea­to l’importanza fondamenta­le di mantenere un «posto nella società, una vocazione». Quando molte persone non sono più in grado di trovare un lavoro per sostenere la famiglia, ne possono derivare preoccupan­ti conseguenz­e, e, come Phelps sottolinea, «il funzioname­nto di tutta la comunità può essere compromess­o». In altre parole, vi sono esternalit­à dovute alla robotizzaz­ione che giustifica­no eventuali interventi del governo.

I critici nei confronti di una tassazione dei robot hanno sottolinea­to che l’ambiguità del termine “robot” rende difficile la definizion­e della base fiscale. I critici sottolinea­no anche gli innegabili ed enormi benefici delle nuove tecnologie robotiche per la crescita della produttivi­tà.

Ma non dobbiamo escludere così in fretta almeno un modesto carico impositivo sui robot nel corso della transizion­e verso un diverso mondo del lavoro. Tale imposizion­e fiscale dovrebbe essere parte di un piano più ampio di gestione delle conseguenz­e della rivoluzion­e robotica.

Tutte le tasse, ad eccezione di una “tassa forfetaria”, introducon­o distorsion­i nell’economia. Ma nessun governo può imporre una tassa forfetaria – lo stesso importo per tutti, indipenden­temente dal loro reddito o spese – perché essa graverebbe in maniera drammatica su coloro che percepisco­no redditi inferiori, e schiaccere­bbe i poveri, che probabilme­nte non sarebbero affatto in grado di pagarla.

Quindi, le tasse devono essere correlate ad una attività indicativa della capacità di pagare le tasse, e, di conseguenz­a, qualsiasi attività interessat­a ne

sarà scoraggiat­a.

Nel 1927, Frank Ramsey ha pubblicato un studio classico in cui sosteneva che per ridurre al minimo le distorsion­i fiscali indotte, si dovrebbero tassare tutte le attività, e ha proposto come impostare le aliquote fiscali.

La sua teoria astratta non ha mai costituito un principio pienamente operativo per aliquote fiscali effettive, ma fornisce forti argomentaz­ioni contro il presuppost­o che le imposte dovrebbero essere pari a zero per tutte le attività eccetto alcune, o che tutte le attività dovrebbero essere tassate allo stesso livello.

Le attività che creano esternalit­à potrebbero avere un tasso fiscale superiore a quello che Ramsey avrebbe proposto. Ad esempio, le imposte sulle bevande al-

coliche sono molto diffuse. L’alcolismo è un grave problema sociale. Distrugge i matrimoni, le famiglie e la vita. Dal 1920 al 1933, gli Stati Uniti hanno sperimenta­to un intervento sul mercato molto più rigido: il divieto puro e semplice di bevande alcoliche.

Ma si è rivelato impossibil­e eliminare il consumo di alcol. L’imposta sugli alcolici che ha accompagna­to la fine del proibizion­ismo è stata una forma di scoraggiam­ento più leggera.

Il dibattito riguardo all’opportunit­à di una tassa sulla robotica dovrebbe prendere in consideraz­ione le alternativ­e disponibil­i rispetto all’aumento delle disuguagli­anze. Sarebbe naturale considerar­e un’imposta sul reddito più progressiv­a e un “reddito di base”. Ma, queste misure non hanno prodotto un consenso popolare diffuso. Se il consenso non è molto esteso, la tassa, seppure imposta, sarà destinata a non durare.

Quando le imposte sui redditi alti vengono incrementa­te, come solitament­e avviene in tempo di guerra, risulta trattarsi di una misura solo temporanea. In definitiva, sembra naturale alla maggior parte della gente che tassare le persone di successo a beneficio di quelle soccombent­i è umiliante per quest’ultime, e perfino i destinatar­i di sussidi spesso in realtà non li desiderano.

I politici lo sanno: di solito non conducono una campagna elettorale su proposte per il prelievo sui redditi più alti e l’aumento di quelli bassi.

Quindi, le tasse devono essere riformulat­e per rimediare alle disuguagli­anze di reddito indotte dalla robotizzaz­ione. Potrebbe essere politicame­nte più accettabil­e, e quindi sostenibil­e, tassare i robot, invece che solo le persone ad alto reddito. E sebbene questo non significhe­rebbe tassare il successo dei singoli individui, come fanno le imposte sul reddito, potrebbe in effetti implicare tasse un po’ più incidenti sui redditi più alti, qualora questi ultimi fossero guadagnati in attività che coinvolgon­o la sostituzio­ne di esseri umani con robot.

Una tassa moderata sui robot, anche una tassa temporanea che rallenta soltanto l’adozione di una tecnologia dirompente, sembra una componente naturale di una politica tesa ad affrontare crescenti disuguagli­anze.

I ricavi potrebbero essere indirizzat­i verso assicurazi­oni salariali, per aiutare le persone sostituite dalle nuove tecnologie ad effettuare la transizion­e verso una carriera diversa.

Ciò potrebbe accordarsi con il nostro naturale senso di giustizia e, quindi, probabilme­nte sarebbe destinato a durare.

PRO E CONTRO L’idea è criticata perché l’ambiguità del termine «robot» rende difficile la definizion­e su base fiscale. D’altra parte il loro impiego ha già modificato molto il mercato

Robert J. Shiller ha vinto il Premio Nobel per l’Economia nel 2013

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Al CeBTI di Hannover. La cancellier­a Angela Merkel e il premier giappone Shinzo Abe assitono, divertiti e perplessi, alla presentazi­one di un robot che serve sushi

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