La svolta nelle regole partita con l’inchiesta
Proprio nel 2013, anno in cui la Procura di Trani iniziava la sua inchiesta, entrava in vigore il regolamento europeo CRA-3 che cercava di porre un argine più elevato al problema del conflitto di interessi delle agenzie di rating. La nuova normativa introduceva, a partire dal 16 gennaio di quell’anno, la responsabilità civile in Europa per i colossi della valutazione creditizia. Cercava di aumentare la trasparenza nel processo di rating. E, soprattutto, provava a gestire proprio il conflitto di interessi. Mentre la Procura di Trani ascoltava tutti i più grandi protagonisti della finanza europea, la normativa europea (come nel resto del mondo) si sforzava di sanare i problemi delle agenzie di rating. Il punto, però, è che il conflitto di interessi è insito nel business di questi colossi della valutazione creditizia. Le normative possono arginarlo e disciplinarlo, ma non cancellarlo. L’unico modo per evitare problemi, quindi, è di mettere i rating nel giusto posto: in quello delle opinioni. Perché i rating questo sono: opinioni. Argomentate, dettagliate, studiate da professionisti, ma pur sempre opinioni. Possono essere d’aiuto ai mercati, possono dare un’indicazione, purché gli investitori non usino i rating come unico parametro di misura per prendere decisioni.
Perché il conflitto di interessi è - ripetiamo - insito nel loro business. Ce n’è uno evidente tra le agenzie di rating e i debitori che vengono valutati: attualmente a pagare per il rating sono infatti le aziende o le banche stesse che prendono un rating. Il conflitto è quindi ovvio: il valutato paga il valutatore. Come se lo stipendio delle insegnanti di scuola fosse corrisposto dagli studenti. Questo ha sempre fatto gridare allo scandalo. Eppure il conflitto non sarebbe minore se a pagare le agenzie di rating fosse qualcun altro. Per esempio il mercato: dato che il mercato è fatto di alcuni grandi investitori, questi soggetti avrebbero tutto l’in- teresse a condizionare i n qualche modo il rating dei titoli su cui investono. Idem se a pagare le agenzie di rating fossero gli Stati, come qualcuno chiedeva tempo fa: anche qui ci sarebbe un interesse, politico, a proteggere le aziende di Stato o di interesse nazionale. Insomma: chiunque paghi le agenzie, un potenziale conflitto c’è sempre. E lo stesso c’è con gli azionisti, se si tiene conto che i soci delle grandi agenzie di rating sono gli stessi fondi che poi usano i rating quando investono in bond.
La normativa può solo disciplinare la gestione del conflitto di interessi. Come ha fatto il regolamento europeo Cra-3. La normativa ha esteso il preavviso di pubblicazione dei rating, ha inasprito le restrizioni sulle partecipazioni azionarie nelle agenzie di rating, ha previsto la pubblicazione di liste di insider interni ed esterni. Ha poi aumentato la trasparenza del processo di rating, prevedendo requisiti specifici e dettagliati per la pubblicazione delle pagelle degli Stati. Ma, soprattutto, ha istituito un regime di responsabilità civile delle agenzie e ha ridotto l’affidamento ai rating nella regolamentazione finanziaria: entro il 2020 nessuna legislazione dovrà fare più riferimento ai rating. Questo ridurrà il loro potere sul mercato. E, dunque, anche le vere o presunte manipolazioni di mercato. Le altre normative europee ( Cra- 1 e Cra- 2) hanno posto altri paletti, per cercare di aumentare la trasparenza: per esempio ora le agenzie devono pubblicare le loro metodologie di analisi e la performance dei rating.
Basterà per evitare conflitti d’interesse? Per togliere tutti i dubbi? Probabilmente no, perché - come detto in precedenza - sono innati nel loro business. Ma di certo, mentre la Procura di Trani indagava e mentre molte Autorità mondiali multavano le agenzie di rating, la normativa cercava di rispondere alle esigenze del mercato.