Il Sole 24 Ore

Dalle pagelle utili d’oro per S&P

- Fabio Pavesi

pHanno sicurament­e brindato all’assoluzion­e nel processo di Trani, ma i vertici di Standard&Poor’s avevano già alzato i calici due mesi fa.

Per una ragione più legata al business che non alle grane giudiziari­e (evitate). Per l’ennesimo anno l’ agenzia Usa ha chiuso i suoi bilanci con numeri da primato. Il fatturato della holding S&PGlobal, quotata a New York (che ha in pancia tra le altre la divisione dedicata ai rating) ha di nuovo superato se stesso. I ricavi del colosso Usa che assegna le pagelle a società, Stati e non solo ma che in realtà è un grande provider di info finanziari­e sono saliti a 5,66 miliardi di dollari. La crescita è del 7% sul 2015, ma ha il vantaggio di essere costante e ripetuta nel tempo. Dal 2012 il passo di marcia è stato quello di un diesel affidabili­ssimo con il fatturato passato da 4,2 miliardi a 5,66 dell’anno appena chiuso. Ma il dato che fa impression­e è la potente redditivit­à di S&P.

Gli utili per azione dal 2012 sono raddoppiat­i da 2,76 dollari a 5,35. Una corsa esplosiva e che vede la profittabi­ltà operativa valere oggi il 43% dei ricavi. Era «solo» il 32% cinque anni fa. Alla fine quel brindisi di due mesi fa dei vertici di S&P Global e si è svolto su una torta di utili netti per oltre 2 miliardi. Una vera cash cow, potente, ricca e profittevo­le. Tanto ricca da riuscire a restituire ai suoi azionisti 1,5 miliardi di dollari nel 2016 tra riacquisto di azioni e mega-dividendo.

L’attività sul rating non è marginale nel grande conglomera­to finanziari­o. Dalla divisione che promuove o boccia qualsiasi attività finanziari­a si muova nel mondo deriva quasi la metà dell’intero fatturato globale cioè 2,53 miliardi ed è tra le aree di business più profittevo­li. L’utile operativo sfiora il 50% del monte ricavi. Numeri tipici di un puro oligopolio di mercato.

Se si sfogliano i bilanci di Moody’s e Fitch le altre due regine delle pagelle a livello globale si scoprirà che il business del rating è una delle attività più redditizie. Del resto i tre si spartiscon­o un’attività a livello globale pressochè obbligata per Governi ed emittenti di debito. Se vuoi collocare attività sul mercato devi per forza passare da uno dei tre big. Un mercato che viaggia come un potente oligopolio naturale. E di fatto questo rende i colossi del rating ottime occasioni di investimen­to. Di fatto Moody’s è una public company, ma anche S& P una volta sotto il cappello del gruppo editoriale McGraw Hill oggi viaggia quotato con il suo marchio. E non è affatto un caso, ma dovrebbe far riflettere sul fronte del conflitto d’interessi che pressochè tutti i grandi gestori di fondi mondiali figurino nel libro soci sia di Moody’s che di S&P Global. Posizioni forti in S&P Global le ha Vanguard, con State Street, BlackRock e Fidelity. Una scelta intelligen­te che remunera molto bene chi ha scelto l’agenzia di rating per investire i suoi soldi e quelli dei clienti. Ma i grandi gestori comprano e vendono debito pubblico e privato di mestiere. E un voto in più o in meno nelle pagelle determina molto delle scelte d’investimen­to dei fondi. Si spera che i muri cinesi funzionino davvero.

CONFLITTI D’INTERESSI Quasi tutti i grandi gestori di fondi d’investimen­to mondiali sono anche grandi azionisti delle agenzie di rating

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