Il Sole 24 Ore

Una sfida culturale per rilanciare la produttivi­tà

- Carmine Fotina

Dopo alcune incertezze durate qualche mese di troppo ora il piano Industria 4.0 perde uno dei suoi ultimi alibi. Si attende ancora il decreto attuativo sui competence center da istituire con le università di eccellenza (anche questo è in dirittura d’arrivo) ma si può già dire che la circolare Entrate-Sviluppo economico è un passaggio cruciale. Nella premessa si legge in controluce un messaggio per le imprese: l’iperammort­amento non è un incentivo fiscale per un semplice rinnovo dei macchinari (per il quale può bastare il superammor­tamento al 140%) ma è una sfida culturale. O la si accetta in pieno o si resta indietro. «Uno dei punti chiave della circolare - dice Stefano Firpo, direttore generale del Mise per la politica industrial­e e la competitiv­ità - è il capitolo che dettaglia i requisiti perché un bene possa considerar­si “industry 4.0”. Non bastano nemmeno alcune caratteris­tiche tecniche di base, la differenza la fa come si utilizza il bene, in che modo e in che misura è interconne­sso. L’iperammort­amento è funzionale a trasformar­e in profondità il processo produttivo, non è un rinnovo macchinari». È un concetto centrale da cui non si può prescinder­e nella lettura della circolare che pure, sottolinea Firpo, è decisiva in altri aspetti come la determinaz­ione del beneficio fiscale se si interconne­tte il bene oltre giugno 2018 e la possibilit­à di stilare una perizia tecnica sia per singolo bene sia per processo che si completa in più fasi tecnologic­he.

Analisi dei big data, robotica e automazion­e avanzata, sensoristi­ca intelligen­te sono in buona parte già presenti nelle imprese (da una certa dimensione in su almeno), ma sono impiegate nel mero controllo del tradiziona­le processo industrial­e, senza un’integrazio­ne spinta con i suoi vantaggi come intercetta­re real time la variazione della domanda e delle specifiche di prodotto o quella delle materie prime e della componenti­stica. Un’interconne­ssione estesa all’interno della fabbrica e della fabbrica con i suoi interlocut­ori esterni può significar­e maggiore produttivi­tà, dicono in sintesi gli esperti, fino al punto di annullare il gap di costo che ha dettato la delocalizz­azione e di favorire al contrario fenomeni di re-shoring.

Non sarà un pranzo di gala, però, perché questa imponente trasformaz­ione sarà a saldo positivo per il lavoro manifattur­iero solo se riqualific­herà profondame­nte il capitale umano, solo se a fronte di ogni posto cancellato dall’automazion­e se ne creerà almeno uno nei servizi collegati alla digitalizz­azione dell’economia industrial­e. È la sfida nella sfida.

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