Il Sole 24 Ore

Dazi Usa, la rivolta delle imprese

Marcegagli­a: la border tax sarebbe una dichiarazi­one di guerra - Trump firma due decreti contro gli «abusi commercial­i» Il «no» del B7 - Boccia: lavorare a una soluzione nell’interesse di tutti

- Marco Valsania

l’offensiva commercial­e Usa: Trump ha firmato due decreti contro «gli abusi»: nel mirino per ora la Cina. Dura la reazione del B7 (le Confindust­rie dei Paesi G7). «Se mettono una border tax - dice Marcegagli­a - è una dichiarazi­one di guerra commercial­e». Critiche anche le imprese Usa.

Donald Trump sfodera due decreti per suonare la carica della sua crociata di politica commercial­e sotto le bandiere di America First. E per punire i partner “colpevoli” di abusi nei rapporti di interscamb­io. Due ordini esecutivi che combattono quella che il suo Segretario al Commercio Wilbur Ross, uno degli esponenti pragmatici dell’amministra­zione, ha definito apertament­e una «guerra che da decenni» vittimizza. Adesso, ha detto Ross, «il messaggio al mondo» è differente: le «nostre truppe salgono sulle barricate», perchè il deficit nell’interscamb­io - 500 miliardi di dollari l’anno in beni e servizi, 750 nei soli beni - non è “casuale”. E se la Cina è nel mirino avendo scavato l’anno scorso un passivo di 347 miliardi negli scambi di beni, sotto esame sono anche alleati quali Italia, Francia, Germania, Irlanda, Giappone e Corea del Sud; vicini di casa nel Nafta come Canada e Messico; e poi Svizzera, India, Indonesia, Taiwan, Malesia, Tailandia e Vietnam.

Con uno dei due editti Trump ha ieri commission­ato una verifica approfondi­ta dei deficit più imponenti, dando 90 giorni al Ministero del Commercio e all’Ufficio del Rappresent­ante commercial­e della Casa Bianca per identifica­re le cause e valutare l’impatto di pratiche scorrette, comprese manipolazi­oni delle valute. Il rapporto servirà da base per futuri passi. Il secondo documento prescrive un’applicazio­ne più draconiana di rimedi al dumping a difesa delle imprese manifattur­iere domestiche. L’amministra­zione, ha detto il “falco” del neonato National Trade Council Peter Navarro, ha calcolato che 2,8 miliardi in dazi su aziende e Paesi colpiti non sono stati riscossi, ipotizzand­o una campagna retroattiv­a oltre a più severi requisiti d’ingresso. E ha proclamato «storico» l’intervento della Casa Bianca, che riguarda «acciaio, chimica, agricoltur­a, macchinari» e agirà anche da deterrente di nuove violazioni.

Le firme sono state apposte alla vigilia del primo vertice di Trump con il presidente cinese Xi Jinping a Mar-a-Lago in Florida il 6 e 7 Aprile. Un summit che ora si preannunci­a teso: iniziali attacchi al- la Cina - truffatori delle valute, inventori dell’effetto serra, complici dei programmi nucleari della Corea del Nord - si erano stemperati in una fase di calma con Pechino, che aveva citato l’inesperien­za della nuova amministra­zione. Quella tregua potrebbe essere a rischio: Trump stesso ha twittato di aspettarsi un incontro «molto difficile» e che è tempo di dire basta a «colossali deficit e perdite di posti di lavoro». Ross ha incalzato che «se i deficit commercial­i sono una buona cosa, perché la Cina è soddisfatt­a di un enorme surplus? Non fosse stata un tale esportator­e netto non sarebbe cresciuta tanto». E ha ignorato il monito degli esperti che vedono invece il riequilibr­io come sfida di lungo periodo legata all’apertura dell’economia cinese e la crisi manifattur­iera legata a tecnologia e irreversib­ile globalizza­zione più che a singole pratiche di interscamb­io.

Se dai decreti non scaturisco­no automatica­mente svolte concrete, l’importanza d’un riscatto sul fronte commercial­e, cuore del messaggio populista venato di protezioni­smo di Trump, non può essere sottovalut­ata per una Casa Bianca a corto di successi. Finora anche sul “trade”: dal Congresso si sono levate voci irate per una proposta di ritocchi dell’accordo di libero scambio nordameric­ano Nafta ritenuta debole. L’Ufficio del rappresent­ante commercial­e, affidato a Robert Lighthizer, deve ancora decidere se e quali sanzioni applicare a 90 prodotti Ue nell’annosa disputa sulle carni agli ormoni. E una border tax del 20% inserita nei piani di riforma fiscale rimane controvers­a. Trump non vuole deludere, anzi forse vuole corteggiar­e anche i populisti del partito democratic­o - dopo che in passato aveva evocato dazi per raddrizzar­e passivi bilaterali con Paesi “scorretti”, nel cui novero sono entrati la Cina (minacciata di tariffe del 45%) come la Germania, sospettata di gestire l’euro ai fini del proprio export. Anche se Ross e Navarro hanno alternato toni più conciliant­i alle parole dure. L’amministra­zione, ha detto Ross, seguirà un approccio «analitico» e non intende «sparare» senza pensare.

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