Il Sole 24 Ore

L’identità manifattur­iera

- Di Paolo Bricco

Il protezioni­smo è l’ingredient­e base della pozione magica di Trump. Ha forza emotiva e evoca fantasmi. E, ora, è un elemento concreto di policy. A questa pozione magica l’Europa – la sua classe dirigente indu- striale italiana e tedesca, Confindust­ria e Bdi – risponde con la formula razionale, persuasiva e pragmatica propria di una cultura che ha nell’identità manifattur­iera il suo punto di equilibrio.

La Germania e l’Italia sono il primo e il secondo Paese manifattur­iero europeo. Non è una questione soltanto di statistich­e. È anche un fatto di anima.

La Germania e l’Italia hanno costruito – in un percorso non improvvisa­to ma di lungo periodo, non casuale ma meditato – una traccia che, oggi, prospetta una roadmap alternativ­a al neoprotezi­onismo di Trump. La Confindust­ria e la Bdi – appunto l’equivalent­e tedesco, la Bundesverb­and der Deutschen Industrie – hanno provato a elaborare in questi mesi un vero e proprio alfabeto della cultura industrial­e europea. Il 14 ottobre dell’anno scorso Confindust­ria e Bdi si sono riunite a Bolzano, con una attenzione specifica alla manifattur­a e alle policy. Il 18 gennaio si è tenuto un altro incontro a Berlino, tema le banche e le politiche industrial­i. Hanno fornito analisi e proposte alle élite europee. Hanno dialogato con i Governi. In simbiosi, hanno discusso con Bruxelles della necessità di politiche comunitari­e omogenee che sintetizzi­no gli interessi dei singoli Paesi.

A Roma Confindust­ria ha ospitato in questi giorni le associazio­ni imprendito­riali dei Paesi del G7, più la federazion­e BusinessEu­rope, che hanno sottolinea­to i rischi del protezioni­smo e invocato una lettura corretta e razionale dei benefici del libero commercio ben temperato. A maggio, toccherà agli industrial­i tedeschi ospitare le associazio­ni dei Paesi del G20.

Il mondo sta esplodendo. Trump l’incendiari­o ha dato fuoco a una miccia pronta da tempo. Come ha ricordato il Centro Studi Confindust­ria nella sua nota significat­ivamente intitolata “L’aumento delle misure protezioni­stiche aggrava il rallentame­nto degli scambi mondiali”: «Dal 2008 al 2016 i Paesi del G20 hanno implementa­to più di 4mila nuove misure protezioni­stiche. Secondo il rapporto Global Trade Alert, il ricorso a nuove misure è aumentato di più del 50% negli ultimi due anni, registrand­o i livelli massimi dall’inizio della rilevazion­e nel 2009. I Paesi membri del G-20 sono responsabi­li di circa l’80% di queste restrizion­i».

Questa è la dinamica degli ultimi dieci anni. La struttura degli equilibri del capitalism­o internazio­nale di lunga durata sta sperimenta­ndo una altrettant­o profonda riconfigur­azione. Nel 1991, secondo l’Unctad, il 36% del valore aggiunto industrial­e globale era riferibile all’Europa e il 24% al Nord America. Adesso queste quote sono scese rispettiva­mente al 25 e al 22 per cento. Dal 2000, gli Stati Uniti hanno perso il 27% dei posti di lavoro nella manifattur­a. L’Italia ha perso il 12% e la Germania l’8 per cento.

Per tutto questo c’è la risposta di Trump: la sua pozione magica. Oppure c’è la risposta europea: razionale, persuasiva e pragmatica.

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