L’identità manifatturiera
Il protezionismo è l’ingrediente base della pozione magica di Trump. Ha forza emotiva e evoca fantasmi. E, ora, è un elemento concreto di policy. A questa pozione magica l’Europa – la sua classe dirigente indu- striale italiana e tedesca, Confindustria e Bdi – risponde con la formula razionale, persuasiva e pragmatica propria di una cultura che ha nell’identità manifatturiera il suo punto di equilibrio.
La Germania e l’Italia sono il primo e il secondo Paese manifatturiero europeo. Non è una questione soltanto di statistiche. È anche un fatto di anima.
La Germania e l’Italia hanno costruito – in un percorso non improvvisato ma di lungo periodo, non casuale ma meditato – una traccia che, oggi, prospetta una roadmap alternativa al neoprotezionismo di Trump. La Confindustria e la Bdi – appunto l’equivalente tedesco, la Bundesverband der Deutschen Industrie – hanno provato a elaborare in questi mesi un vero e proprio alfabeto della cultura industriale europea. Il 14 ottobre dell’anno scorso Confindustria e Bdi si sono riunite a Bolzano, con una attenzione specifica alla manifattura e alle policy. Il 18 gennaio si è tenuto un altro incontro a Berlino, tema le banche e le politiche industriali. Hanno fornito analisi e proposte alle élite europee. Hanno dialogato con i Governi. In simbiosi, hanno discusso con Bruxelles della necessità di politiche comunitarie omogenee che sintetizzino gli interessi dei singoli Paesi.
A Roma Confindustria ha ospitato in questi giorni le associazioni imprenditoriali dei Paesi del G7, più la federazione BusinessEurope, che hanno sottolineato i rischi del protezionismo e invocato una lettura corretta e razionale dei benefici del libero commercio ben temperato. A maggio, toccherà agli industriali tedeschi ospitare le associazioni dei Paesi del G20.
Il mondo sta esplodendo. Trump l’incendiario ha dato fuoco a una miccia pronta da tempo. Come ha ricordato il Centro Studi Confindustria nella sua nota significativamente intitolata “L’aumento delle misure protezionistiche aggrava il rallentamento degli scambi mondiali”: «Dal 2008 al 2016 i Paesi del G20 hanno implementato più di 4mila nuove misure protezionistiche. Secondo il rapporto Global Trade Alert, il ricorso a nuove misure è aumentato di più del 50% negli ultimi due anni, registrando i livelli massimi dall’inizio della rilevazione nel 2009. I Paesi membri del G-20 sono responsabili di circa l’80% di queste restrizioni».
Questa è la dinamica degli ultimi dieci anni. La struttura degli equilibri del capitalismo internazionale di lunga durata sta sperimentando una altrettanto profonda riconfigurazione. Nel 1991, secondo l’Unctad, il 36% del valore aggiunto industriale globale era riferibile all’Europa e il 24% al Nord America. Adesso queste quote sono scese rispettivamente al 25 e al 22 per cento. Dal 2000, gli Stati Uniti hanno perso il 27% dei posti di lavoro nella manifattura. L’Italia ha perso il 12% e la Germania l’8 per cento.
Per tutto questo c’è la risposta di Trump: la sua pozione magica. Oppure c’è la risposta europea: razionale, persuasiva e pragmatica.