Il Sole 24 Ore

«La border tax sarebbe una dichiarazi­one di guerra»

- N. P.

A fine giugno sarà con le Confindust­rie europee negli Stati Uniti. «Faremo iniziative comuni con la Us Chamber of commerce e incontrere­mo l’amministra­zione americana. Vorremmo riprendere a parlare di Ttip. Il rapporto transatlan­tico è importante sia dal punto di vista dell’economia che dei valori». Come presidente di Business Europe Emma Marcegagli­a osserva l’evoluzione della presidenza di Donald Trump e l’atteggiame­nto neoprotezi­onista degli Usa. «Il tema più pericoloso è se Trump decidesse di mettere la border tax, cioè una tassa a tutti i beni prodotti fuori dagli Stati Uniti. Diventereb­be un passo molto complicato e problemati­co, sarebbe come una dichiarazi­one di guerra commercial­e». Se così fosse «bisognereb­be rispondere denunciand­olo al Wto. Ma quando si innesca una guerra, non si sa dove si va a finire. Sarebbe molto importante non arrivare a questo punto», ha continuato la Marcegagli­a. A suo parere la posizione di Trump di questi giorni «nasce da un vecchio contenzios­o sull’esportazio­ne di carne di manzo americana sul mercato europeo. È da risolvere e vede l’Europa pronta ad una conclusion­e amichevole».

Su tutta la partita dei dazi, quindi, «sentendo i nostri amici della Us Chamber of commerce il ragionamen­to è ancora aperto. Parte dell’amministra­zione americana e del business Usa sono contrari. Molte aziende americane hanno catene del valore in tutto il mondo e sarebbero penalizzat­e anche loro. È un tema ancora tutto in discussion­e».

La Marcegagli­a ha sottolinea­to i vari punti della dichiarazi­one finale del B7: «La libertà di commercio è alla base della crescita. La globalizza­zione ha fatto emergere un problema di disuguagli­anze che va affrontato, ma bisogna mantenere forte questo obiettivo: ogni forma di protezioni­smo porta a povertà e mancanza di democrazia», ha detto la presidente di Business Europe, che ha sottolinea­to l’importanza di investimen­ti, di più attenzione all’education e alla sostenibil­ità proprio per dare una risposta alle disuguagli­anze.

Analogo atteggiame­nto anche da parte di Stefan Mair, membro dell’executive board della Bdi, la Confindust­ria tedesca: «Bisogna rimodellar­e la globalizza­zione, coinvolger­e la so- cietà». È quella società 5.0 citata da Sadayuki Sakakibara, presidente della Keidanren, gli industrial­i giapponesi: «Una società smart grazie all’economia digitale, obiettivo che si raggiunge attraverso l’innovazion­e e la sostenibil­ità». La dimensione inclusiva è «essenziale» anche per Bernard Spitz, presidente Internatio­nal & Europe del Medef, Confindust­ria francese: «Non c’è free trade senza fair trade. Il G7 e il G20 dovrebbero migliorare le regole della governance internazio­nale, aumentando il legame tra la dimensione sociale ed economica. È questo il futu- ro della globalizza­zione».

Il Ceta, l’accordo di libero scambio Ue e Canada, è per tutti un buon esempio, citato dalla dichiarazi­one finale, come ha sottolinea­to Duncan Wilson, presidente della Camera di commercio canadese: «Affronta temi importanti come la tutela dell’ambiente, la sostenibil­ità, l’efficacia delle risorse, discussi anche qui. Dovrebbe essere un faro su come si costruisce un accordo». Guardare agli interessi comuni è anche la posizione di Josh Hardie, membro della Cbi, gli industrial­i inglesi, che, riferendos­i alla Brexit, ha aggiunto: «Serve un accordo che porti benefici a tutti».

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