Omesso versamento dell’Iva senza stop alla prescrizione
Il reato di omesso versamento Iva non è caratterizzato da condotte fraudolente. E di conseguenza non vale la disapplicazione dell’interruzione della prescrizione da parte del giudice penale come ritenuto dalla Corte di giustizia Ue. A fornire questa interpretazione è la sentenza 16458/2017 della Corte di cassazione depositata ieri.
Un Procura ha proposto ricorso contro la sentenza con cui era stata dichiarata l’intervenuta prescrizione del reato di omesso versamento Iva (nel caso esaminato per circa 330mila euro) previsto dall’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000. È stata lamentata la radicale mancanza di motivazione in ordine alla disapplicazione degli articoli del Codice penale (160 e 161) disciplinanti l’interruzione della prescrizione, nonostante la natura degli interessi finanziari Ue coinvolti e pregiudicati dalla prescrizione del reato.
Al riguardo, la Corte Ue, con la sentenza «Taricco», ha denunciato l’insostenibilità del sistema italiano sulla interruzione della prescrizione: il limite massimo di un quarto, concesso in presenza di cause interruttive, può determinare, secondo i giudici comunitari, la sistematica impunità delle gravi frodi in tema di Iva.
È stato così affermato l’obbligo per il giudice italiano di disapplicare gli articoli 160 e 161 del Codice penale, in quanto, fissando un limite massimo al corso della prescrizione, pur in presenza di atti interruttivi, impedisce allo Stato di adempiere agli obblighi di tutela effettiva degli interessi finanziari Ue.
Sono stati individuati alcuni presupposti per poter disapplicare le predette norme quali la sussistenza di una frode Iva e la sua gravità (danno rilevante per le casse erariali).
Successivamente un giudice nazionale ha sollevato la questione di legittimità costituzionale ritenendo che il principio di legalità costituirebbe un “contro-limite” all’ingresso del diritto comunitario nel nostro ordinamento. Da ultimo la Consulta, con l’ordinanza 24/2017, ha sottoposto la questione alla Corte europea. In attesa delle decisioni dei giudici comunitari, la Cassazione è intervenuta ripetutamente per delineare e delimitare più concretamente l’ambito della sentenza «Taricco».
In tale contesto, i giudici di legittimità hanno così chiarito che per determinare la gravità di una frode Iva occorre fare riferimento al complesso dei criteri per la determinazione della gravità del reato: entità, organizzazione posta in essere, partecipazione di più soggetti al fatto, utilizzazione di cartiere o società-schermo, interposizione, eccetera.
Ora la Suprema corte ha ulteriormente chiarito che nella nozione di frode, definita dall’articolo 1 della Convenzione Pif, non può rientrarvi la fattispecie di omesso versamento Iva. La convenzione, infatti, si riferisce a qualsiasi azione oppure omissione intenzionale relativa all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegue la diminuzione illegittima di risorse del bilancio comunitario.
Secondo i giudici di legittimità la frode non è un elemento costitutivo del reato di omesso versamento Iva. Quest’ultimo si consuma semplicemente con il mancato pagamento dell’imposta in base alla dichiarazione annuale.
Ne consegue l’inapplicabilità dei principi della Corte Ue per tale delitto.