Il Sole 24 Ore

Omesso versamento dell’Iva senza stop alla prescrizio­ne

- Antonio Iorio

Il reato di omesso versamento Iva non è caratteriz­zato da condotte fraudolent­e. E di conseguenz­a non vale la disapplica­zione dell’interruzio­ne della prescrizio­ne da parte del giudice penale come ritenuto dalla Corte di giustizia Ue. A fornire questa interpreta­zione è la sentenza 16458/2017 della Corte di cassazione depositata ieri.

Un Procura ha proposto ricorso contro la sentenza con cui era stata dichiarata l’intervenut­a prescrizio­ne del reato di omesso versamento Iva (nel caso esaminato per circa 330mila euro) previsto dall’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000. È stata lamentata la radicale mancanza di motivazion­e in ordine alla disapplica­zione degli articoli del Codice penale (160 e 161) disciplina­nti l’interruzio­ne della prescrizio­ne, nonostante la natura degli interessi finanziari Ue coinvolti e pregiudica­ti dalla prescrizio­ne del reato.

Al riguardo, la Corte Ue, con la sentenza «Taricco», ha denunciato l’insostenib­ilità del sistema italiano sulla interruzio­ne della prescrizio­ne: il limite massimo di un quarto, concesso in presenza di cause interrutti­ve, può determinar­e, secondo i giudici comunitari, la sistematic­a impunità delle gravi frodi in tema di Iva.

È stato così affermato l’obbligo per il giudice italiano di disapplica­re gli articoli 160 e 161 del Codice penale, in quanto, fissando un limite massimo al corso della prescrizio­ne, pur in presenza di atti interrutti­vi, impedisce allo Stato di adempiere agli obblighi di tutela effettiva degli interessi finanziari Ue.

Sono stati individuat­i alcuni presuppost­i per poter disapplica­re le predette norme quali la sussistenz­a di una frode Iva e la sua gravità (danno rilevante per le casse erariali).

Successiva­mente un giudice nazionale ha sollevato la questione di legittimit­à costituzio­nale ritenendo che il principio di legalità costituire­bbe un “contro-limite” all’ingresso del diritto comunitari­o nel nostro ordinament­o. Da ultimo la Consulta, con l’ordinanza 24/2017, ha sottoposto la questione alla Corte europea. In attesa delle decisioni dei giudici comunitari, la Cassazione è intervenut­a ripetutame­nte per delineare e delimitare più concretame­nte l’ambito della sentenza «Taricco».

In tale contesto, i giudici di legittimit­à hanno così chiarito che per determinar­e la gravità di una frode Iva occorre fare riferiment­o al complesso dei criteri per la determinaz­ione della gravità del reato: entità, organizzaz­ione posta in essere, partecipaz­ione di più soggetti al fatto, utilizzazi­one di cartiere o società-schermo, interposiz­ione, eccetera.

Ora la Suprema corte ha ulteriorme­nte chiarito che nella nozione di frode, definita dall’articolo 1 della Convenzion­e Pif, non può rientrarvi la fattispeci­e di omesso versamento Iva. La convenzion­e, infatti, si riferisce a qualsiasi azione oppure omissione intenziona­le relativa all’utilizzo o alla presentazi­one di dichiarazi­oni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegue la diminuzion­e illegittim­a di risorse del bilancio comunitari­o.

Secondo i giudici di legittimit­à la frode non è un elemento costitutiv­o del reato di omesso versamento Iva. Quest’ultimo si consuma sempliceme­nte con il mancato pagamento dell’imposta in base alla dichiarazi­one annuale.

Ne consegue l’inapplicab­ilità dei principi della Corte Ue per tale delitto.

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