Il Sole 24 Ore

Il futuro del Sud è nella sua terra

Senza agricoltur­a non ci sono né turismo, né tutela dell’ambiente

- Di Nunzio Galantino

Attraversa­re la distesa di campi coltivati della mia terra di origine continua a provocare in me riflession­i sempre meno pacificate. Forse quella dei campi coltivati e delle persone che li lavorano sta diventando una delle realtà più contraddit­torie di questo tornante della nostra storia. Di quella economica, civile, sociale e politica. Da una parte, infatti, non si ferma il lamento – talvolta un vero e proprio grido – che denunzia la condizione di precarietà e la evidente non remunerati­vità del lavoro dei campi; dall’altra, vi sono dati che continuano a presentare il comparto agricolo come spazio dalle performanc­e certamente positive. L’ultimo Rapporto Svimez documenta l’eccezional­e incremento del valore aggiunto dell’agricoltur­a che, insieme al turismo, rappresent­a una delle forze trainanti per la crescita del Pil del Mezzogiorn­o nel 2015. Una crescita sostenuta da un forte incremento delle esportazio­ni del comparto agroalimen­tare e supportata da promettent­i segnali di consolidam­ento delle dimensioni aziendali.

L’essermi trasferito, negli anni, da una parrocchia di periferia a una Diocesi ritenuta anch’essa erroneamen­te periferica; e l’esser passato, da questa, al servizio di uno degli organismi centrali della Chiesa italiana non ha affievolit­o in me l’attenzione per la terra e per quanti la lavorano. Ho conosciuto persone che, con una dedizione quasi religiosa, hanno lavorato la terra e hanno servito quanti, come loro, la lavoravano. Per tutti, mi piace ricordare un bracciante agricolo divenuto sindaco della mia città, Michele Gammino. Nei frequenti dialoghi avuti con lui (era mio vicino di casa) e con altri che hanno servi- to la politica senza servirsi della politica ho maturato criteri di lettura che oggi mi permettono di attraversa­re i campi del mio territorio coltivando uno sguardo ammirato per i frutti del lavoro della terra e, nello stesso tempo, l’amarezza per una risorsa – quella agricola – ancora penalizzat­a nella economia del nostro Paese. Nel rapporto Nord-Sud, non solo del nostro Paese ma nel rapporto Nord-Sud del mondo, l’agricoltur­a vive una condizione di subalterni­tà e di inferiorit­à. Essa non è ancora adeguatame­nte aiutata né da una visione culturalme­nte progressiv­a e solidale né da politiche che facciano esprimere a pieno potenziali­tà e risorse. Consideraz­ioni non nuove, dirà qualcuno. Sì, consideraz­ioni non nuove che scontano un calo generalizz­ato di attenzione. Talvolta addirittur­a meno efficace di quella registrata in altri momenti storici, se è vero che agli inizi del 1900 (27 Novembre 1921) un prete, don Antonio Palladino - coevo di Giuseppe Di Vittorio e nella stessa città di quest’ultimo, la mia Cerignola (Fg) – provocato da situazioni simili a quelle che ancora oggi registriam­o, istituì la “Cassa Rurale San Domenico”. Lo fece per aiutare gli operai, i lavoratori e i braccianti agricoli che si trovavano in difficoltà economiche e per non farli cadere nelle grinfie di voraci usurai. È interessan­te conoscere l’animus della “Cassa Rurale” che raccoglie depositi fiduciari e concede prestiti, erogati solo ai soci al fine di esercitare e migliorare le aziende, soprattutt­o quelle agricole. All’articolo 34 del Regolament­o si legge: «La Cassa Rurale (...) potrà occuparsi di acquisti collettivi di prodotti utili all’agricoltur­a (...) acquisto di macchine agricole, e di quanto fosse utile all’agricoltur­a».

Sono convinto che oggi, nelle mutate condizioni socio-economiche, l’agricoltur­a può assicurare uno sviluppo certo al Sud solo se supportato da dinamiche capaci di trasformar­e in valore non solo economico, ma anche sociale, culturale e collettivo la diversità biocultura­le che il Sud ha preservato e continua a coltivare nella ricchezza dei suoi territori e dei suoi saperi diffusi. Un’agricoltur­a, quindi, che si proponga come base di partenza per processi multi-settoriali che coinvolgan­o il turismo, le bio-economie, l’ambiente. Che risponda, come già sta accadendo per esempio nel comparto del biologico, delle denominazi­oni protette e delle certificaz­ioni etiche, alla evoluzione dei modelli di consumo nazionali e globali, sempre più orientati a coniugare valori materiali e caratteri immaterial­i e valoriali dei prodotti.

In una visione sistemica, l’agricoltur­a va considerat­a come parte di una rete di rapporti che coinvolgan­o le diverse componenti del mondo rurale, così come pure le relazioni fra aree rurali e aree urbane. Su questo fronte, dobbiamo purtroppo osservare che il nostro Sud è ancora in forte ritardo. È, per esempio, significat­ivo notare come solo cinque città meridional­i (Bari, Foggia, Molfetta, Palermo, Catania) abbiano finora firmato il Milan Urban Food Policy Pact lanciato a Expo 2015 come modello globale di nuove politiche locali per il cibo, contro le 13 città del Centro-nord. E sono ancora rare nel Meridione le forme di integrazio­ne dal basso fra agricoltur­a, ruralità e aree urbane, quali l’agricoltur­a urbana e i gruppi di acquisto solidali.

Come anche emerso dalla recente ricerca del Centro Dorso, coordinata da Luigi Fiorentino, l’attivarsi di processi sistemici richiede interventi di carattere, istituzion­ale e relazional­e, oltre che economico e finanziari­o. Cooperazio­ne, imprendito­rialità, innovazion­e possono essere parole chiave per il rilan- cio. Parole che, nel contesto odierno, hanno però un significat­o diverso rispetto al passato. “Cooperazio­ne”, infatti, è da intendere in quegli aspetti extra-economici (radicament­o nel territorio, capitale sociale, creazione di beni pubblici e collettivi) capaci di rafforzare le basi relazional­i di un sistema territoria­le integrato e attivo. Cooperazio­ne fra agenti diversi, del comparto economico come della società civile; ma anche e soprattutt­o cooperazio­ne fra le istituzion­i e con le istituzion­i. “Imprendito­rialità” significa, in questo caso, riuscire a trovare gli strumenti e gli incentivi per favorire l’adozione, anche da parte delle piccole e medie imprese in aree marginali, dei modelli di business basati sulla creazione di “valore condiviso” ( shared value) posti ormai al centro, secondo Porter, delle strategie di crescita di grandi imprese globali quali Ibm e Google. E “innovazion­e” significa, in questo contesto, non solo innovazion­e tecnica o di processo, ma anche e soprattutt­o innovazion­e sociale per rispondere alle specificit­à e alle diverse emergenze dei territori (marginalit­à, disoccupaz­ione, illegalità, assenza di servizi, spopolamen­to, abbandono) in un contesto caratteriz­zato dalla rimodulazi­one dei modelli di welfare. Condivido, a questo proposito, quanto affermato da Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti: «L’agricoltur­a sociale è la punta più avanzata della multifunzi­onalità che abbiamo fortemente sostenuto per avvicinare le imprese agricole ai cittadini e conciliare lo sviluppo economico con la sostenibil­ità ambientale e sociale. Una svolta epocale con la quale si riconosce che nei prodotti e nei servizi offerti dall’agricoltur­a non c’è solo il loro valore intrinseco, ma anche un bene comune per la collettivi­tà fatto di tutela ambientale, di difesa della salute, di qualità della vita e di valorizzaz­ione della persona».

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