Senza alternative politiche convincenti i populisti avanzano
Gentile dottor Carrubba, non so se anche lei ha notato che della “Flat Tax” , non se ne parla più. L’intento era lodevole (sarcasmo), far sì che i ricchi d’oltre frontiera, portassero i propri risparmi nel nostro Paese usufruendo di una tassazione estremamente agevolata, quasi fossimo in Lussemburgo. Sono amareggiato perché in questi ultimi anni, nonostante l’aumento delle entrate e la contemporanea riduzione della spesa per gli interessi il debito non è diminuito, anzi continua a crescere, proprio non riusciamo a ridurre la spesa inefficiente. Ma perché invece non si tenta di cambiare le cose? Sarebbe stato più opportuno rendere più facili gli investimenti e trasformare la burocrazia: non più un mezzo di potere per frantumare le poche iniziative che ogni tanto emergono da questo mare di mediocrità. Mi domando come si possa garantire una crescita del “famigerato” Pil di almeno il 2% se tutto il tessuto economico e politico è zavorrato da politiche inefficienti e da uomini di scarso spessore, dove contano più le amicizie che le capacità, come dimostrato dalle ultime cariche messe a punto dal governo per le partecipate. D’altronde se lo stesso Pietro il Grande ha avuto dei problemi con i boiardi come pensare che un governo come il nostro non li avesse!
Marco Nagni
Falconara Marittima Il lettore riecheggia preoccupazioni e temi già presenti nell’ultima lettera cui avevo risposto. Mi pare una coincidenza importante, perché conferma una mia radicata convinzione: ovvero, che nell’opinione pubblica non ci sono solo risentimento e populismo ma anche una forte preoccu- pazione per una situazione che richiederebbe più politica e migliore politica, non la sua negazione, rappresentata dalla fuga nella perniciosa convinzione che il dibattito pubblico si faccia sui social e che le conseguenti decisioni si assumano sulla base di qualche decina di consensi virtuali.
Anche il richiamo a Pietro il Grande (e pure cattivo) ribadisce la difficoltà ad affrontare la ridda di interessi organizzati che bloccano ogni velleità riformatrice. Il peggio è che, a quanto pare, di apostoli del riformismo se ne vedono pochi all’orizzonte. La destra non sa scrollarsi di dosso le tentazioni (chiamiamole col loro nome) nazionaliste e autarchiche che fanno parte di un pezzo (imbarazzante) della sua storia; mentre a sinistra, paradossalmente, l’uscita delle frange più tradizionaliste dal Pd sembra aver tarpato, proprio ora, gli sforzi di quel partito per proporre una piattaforma coraggiosa fatta di revisione profonda di uno stato obsoleto e paralizzante. La sconfitta al referendum è stata fatale, certo: ma il Pd, e i futuri leader, devono dire chiaramente se essi interpretano quella sconfitta come l’archiviazione di una stagione che qualche risultato cominciava a dare, soprattutto in termini di riacquistata credibilità. Per il Pd, ora, il peggiore degli errori (del resto tradizionale nella politica del Pci: pas d’ennemis à gauche!) sarebbe inseguire i fuoriusciti (o, peggio, i grillini: non s’illuda, onorevole Bersani!) sulle loro parole d’ordine, quasi a dire: è inutile seguirli, ci pensiamo noi a mettere in pratica le loro politiche (vedi voucher).
Non c’è poi da sorprendersi che i populisti avanzino, nel silenzio di un’offerta politica alternativa convincente: i lettori del «Sole-24 Ore», quanto meno lo spaccato cui hanno dato voce gli ultimi due interlocutori, dimostrano che la domanda di riforme è forte, anche se magari meno fragorosa delle minoranze vocianti. La stoffa del leader sta nello scommetterci sopra.
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