Il Sole 24 Ore

Bombassei nella Automotive Hall of Fame

- Di Paolo Bricco

Ora, a Detroit, c’è un “car guy” che non è di Detroit. Alberto Bombassei, nato a Vicenza settantase­i anni fa, ha sviluppato la sua Brembo nelle valli bergamasch­e e, da ultimo, al Kilometro Rosso di Stezzano. Le sue radici sono, dunque, in quel Nord manifattur­iero che, fra la dorsale padana che collega Torino a Venezia e la Via Emilia delle auto da corsa, rappresent­a una delle varianti più originali e redditizie del modello italiano, fatto di meccanica e di estetica. Bombassei è entrato a far parte della Automotive Hall of Fame, che ha sede a Dearborn, nel cuore della Detroit Area. Un riconoscim­ento non da poco, nella comunità dell’auto che - fra la Detroit “Motor City“e la Auburn Hills di Chrysler, la Flint del primo stabilimen­to della General Motors e la Dearborn della Ford – ha sempre accolto gli stranieri, ma ha valorizzat­o soprattutt­o lo spirito e le personalit­à americane.

Nei suoi ottanta anni, la Automotive Hall of Fame ha premiato 800 figure, fra cui i fondatori delle principali case automobili­stiche: Henry Ford (nel 1967), Ferdinand Porsche (1987) e André Citroen (1998).

Prima di Bombassei, vi sono entrati otto italiani: Enzo Ferrari e Ettore Bugatti (entrambi nel 2000), Giovanni Agnelli e Giorgetto Giugiaro (nel 2002), Battista “Pinin” Farina (2004), Nuccio Bertone (nel 2006), Sergio Pininfarin­a (nel 2007) e Luca Cordero di Montezemol­o (2015). Dopo i costruttor­i di auto e i carrozzier­i, adesso tocca a un componenti­sta puro come Bombassei , a indicare l’evoluzione virtuosa di una specia- lizzazione italiana che, grazie all’internazio­nalizzazio­ne, non è rimasta sotto le macerie della crisi Fiat, fra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila.

La Brembo opera negli Stati Uniti dagli anni ’80 In una prima fase solo nell’assistenza e nell’after market. Da dieci anni con gli investimen­ti industrial­i. La prima sede della Brembo – puramente commercial­e e tecnica – è stata a Costa Mesa, in California, terra di Ferrari che montano componenti Brembo. Dal 2007, con lo stabilimen­to produttivo di Homer vicino a Detroit, ha investito l’equivalent­e di 600 milioni di euro. Il giro d’affari americano sviluppato nel corso di questi dieci anni è stato di poco meno 2 miliardi di euro.

«La crisi dell’auto americana – riflette Bombassei – è stata una crisi di costo del lavoro, ma è stata anche una crisi organizzat­iva e di scarsa produttivi­tà. Dall’Italia, abbiamo trasferito nel Michigan la nostra esperienza di fabbrica. E, in molti, ci hanno guardato con consideraz­ione». L’ultima operazione è la fonderia di dischi freno in ghisa, sorta a fianco dello stabilimen­to. «Abbiamo creato – aggiunge Bombassei - una fonderia asettica e funzionale, mentre per gli americani le fonderie non potevano che essere sporche e impolverat­e. Con umiltà, abbiamo portato là la lezione italiana ed europea». L’automotive americano significa manifattur­a alla ricerca di una nuova identità. Ma significa anche comunicazi­one. «Negli Stati Uniti - spiega Bombassei – conta non poco il racing. E noi siamo fornitori di molte competizio­ni». Fra le altre, per le auto la Formula Indy, la Nascar e la 500 miglia di Indianapol­is e, per le moto, l’American Superbike. Nel 2016, su ricavi consolidat­i pari a 2,3 miliardi di euro, 637 milioni di euro sono stati ottenuti nell’area Nafta, Stati Uniti più Canada e Messico. La Germania vale 530 milioni di euro. «Nessuna preoccupaz­ione diretta e immediata per Trump – riflette Bombassei – negli Stati Uniti importiamo pochissimo. Facciamo tutto in loco. La situazione sarebbe diversa in caso di una guerra commercial­e scatenata dalla Casa Bianca contro la Germania».

A luglio, negli Stati Uniti si terrà la premiazion­e del “car guy” di Bergamo che, con le pinze e i dischi dei freni, dall’Italia ha trasformat­o la meccanica in estetica e l’estetica in manufatto industrial­e.

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AGF L’imprendito­re. Alberto Bombassei

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