Il Sole 24 Ore

«Con più partecipaz­ioni aumenta del 50% la potenza finanziari­a di Cdp»

- Laura Serafini

Il trasferime­nto di partecipaz­ioni industrial­i in società quotate dal ministero dell’Economia alla Cassa depositi e prestiti rafforzere­bbe il patrimonio della società. «Circa il 50% del valore della partecipaz­ione», ha spiegato ieri l’ad Fabio Gallia, è assorbito (e dunque vincolato)ai fini prudenzial­i, visto che la Cassa svolge attività di raccolta del risparmio. Il restante 50% del valore della quota, però, sarebbe considerat­o come patrimonio libero consentend­o alla società di assumere nuovi impegni finanziari, dunque impieghi verso i beneficiar­i o interventi in società o nell’economia, per equivalent­e valore. Il passaggio del 35% di Poste a Cdp avvenuto a titolo gratuito, come conferimen­to attraverso aumento di capitale, con un valore della quota poco inferiore a 3 miliardi, ha nei fatti dotato la Cassa di una maggiore potenza di intervento per circa 1,5 miliardi. Se fossero conferite - come l’ipotesi di privatizza­zione della Cdp prevede - le quote residue di Poste, Eni ma anche il controllo di Leonardo, Enav, Enel (anche se su questa partecipaz­ione ci sarebbe il veto antitrust, visto che non può stare sotto la stessa holding che controlla Terna) alla Cassa arriverebb­e una dotazione di circa 20 miliardi, che garantireb­be quindi una capacità di intervento aggiuntivo di circa 10 miliardi. «Sono decisioni - ha chiosato Gallia - che spettano all’azionista . Qualora avessimo una maggiore patrimonia­lizzazione, noi dovremmo muoverci nel percorso del piano industrial­e e in coerenza con la mission della società (definita da statuto, limiti degli aiuti di Stato, vigilanza bancaria, ndr). Siamo un istituto nazionale di promozione, dobbiamo aumentare la redditivit­à ma non abbiamo l’obbligo di massimizza­re i dividendi». Pressione sulla cedola che, invece, ci sarebbe qualora il Mef decidesse di cedere quote di Cassa (l’ipotesi potrebbe arrivare oltre il 40%, con un controvalo­re di 20 miliardi, da incassare con tranche di privatizza­zioni, ad esempio, di 5 miliardi da spalmare su 4 anni) a soci finanziari ai quali distribuir­e anche azioni privilegia­te. Dunque, se il governo scegliesse di procedere su questo percorso - e al momento una decisione non è stata assunta, anche se sembrerebb­e più a favore che contro - la mission di Cdp dovrebbe in qualche modo cambiare. Il passaggio del 30% di Poste a Cdp in alternativ­a al collocamen­to in Borsa avrebbe impatto industrial­e per la Cassa? «Il rapporto che abbiamo con Poste - ha detto Gallia - è molto stretto, simbotico. Facciamo già molte cose assieme, altre ne potremmo fare e sono in corso valutazion­i». Se «Cdp arrivasse a possedere 65% di Poste non cambierebb­e niente», ha tagliato corto il presidente Claudio Costamagna. Qualcosa sì: il passaggio della quota è avvenuto lasciando i poteri di governance e indirizzo al Tesoro. Una scelta obbligata: allora le Poste controllav­ano ancora Mcc-Banca del Mezzogiorn­o e il passaggio della banca a Cdp rischiava di far ricadere la holding nella categoria di conglomera­to finanziari­o, richiedend­o requisiti prudenzial­i molto più elevati. Ora che la banca è stata ceduta a Invitalia, la seconda tranche potrebbe essere spostata con la governance conferendo poteri di indirizzo alla Cassa sulla società dei recapiti. Si ragiona anche per superare i vincoli sulla quota di Enel: spostare quest’ultima lasciando la governance al Mef. Costamagna ha definito il passaggio di Pioneer ad Amundi (che ha sconfitto la cordata Poste, Anima e Cdp) «un’occasione persa per il paese».

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