«Con più partecipazioni aumenta del 50% la potenza finanziaria di Cdp»
Il trasferimento di partecipazioni industriali in società quotate dal ministero dell’Economia alla Cassa depositi e prestiti rafforzerebbe il patrimonio della società. «Circa il 50% del valore della partecipazione», ha spiegato ieri l’ad Fabio Gallia, è assorbito (e dunque vincolato)ai fini prudenziali, visto che la Cassa svolge attività di raccolta del risparmio. Il restante 50% del valore della quota, però, sarebbe considerato come patrimonio libero consentendo alla società di assumere nuovi impegni finanziari, dunque impieghi verso i beneficiari o interventi in società o nell’economia, per equivalente valore. Il passaggio del 35% di Poste a Cdp avvenuto a titolo gratuito, come conferimento attraverso aumento di capitale, con un valore della quota poco inferiore a 3 miliardi, ha nei fatti dotato la Cassa di una maggiore potenza di intervento per circa 1,5 miliardi. Se fossero conferite - come l’ipotesi di privatizzazione della Cdp prevede - le quote residue di Poste, Eni ma anche il controllo di Leonardo, Enav, Enel (anche se su questa partecipazione ci sarebbe il veto antitrust, visto che non può stare sotto la stessa holding che controlla Terna) alla Cassa arriverebbe una dotazione di circa 20 miliardi, che garantirebbe quindi una capacità di intervento aggiuntivo di circa 10 miliardi. «Sono decisioni - ha chiosato Gallia - che spettano all’azionista . Qualora avessimo una maggiore patrimonializzazione, noi dovremmo muoverci nel percorso del piano industriale e in coerenza con la mission della società (definita da statuto, limiti degli aiuti di Stato, vigilanza bancaria, ndr). Siamo un istituto nazionale di promozione, dobbiamo aumentare la redditività ma non abbiamo l’obbligo di massimizzare i dividendi». Pressione sulla cedola che, invece, ci sarebbe qualora il Mef decidesse di cedere quote di Cassa (l’ipotesi potrebbe arrivare oltre il 40%, con un controvalore di 20 miliardi, da incassare con tranche di privatizzazioni, ad esempio, di 5 miliardi da spalmare su 4 anni) a soci finanziari ai quali distribuire anche azioni privilegiate. Dunque, se il governo scegliesse di procedere su questo percorso - e al momento una decisione non è stata assunta, anche se sembrerebbe più a favore che contro - la mission di Cdp dovrebbe in qualche modo cambiare. Il passaggio del 30% di Poste a Cdp in alternativa al collocamento in Borsa avrebbe impatto industriale per la Cassa? «Il rapporto che abbiamo con Poste - ha detto Gallia - è molto stretto, simbotico. Facciamo già molte cose assieme, altre ne potremmo fare e sono in corso valutazioni». Se «Cdp arrivasse a possedere 65% di Poste non cambierebbe niente», ha tagliato corto il presidente Claudio Costamagna. Qualcosa sì: il passaggio della quota è avvenuto lasciando i poteri di governance e indirizzo al Tesoro. Una scelta obbligata: allora le Poste controllavano ancora Mcc-Banca del Mezzogiorno e il passaggio della banca a Cdp rischiava di far ricadere la holding nella categoria di conglomerato finanziario, richiedendo requisiti prudenziali molto più elevati. Ora che la banca è stata ceduta a Invitalia, la seconda tranche potrebbe essere spostata con la governance conferendo poteri di indirizzo alla Cassa sulla società dei recapiti. Si ragiona anche per superare i vincoli sulla quota di Enel: spostare quest’ultima lasciando la governance al Mef. Costamagna ha definito il passaggio di Pioneer ad Amundi (che ha sconfitto la cordata Poste, Anima e Cdp) «un’occasione persa per il paese».