Il Sole 24 Ore

Borse nel limbo dopo un trimestre positivo

Wall Street resta appesa alle promesse di Trump dopo lo stop sulla sanità, mentre la Federal Reserve si mantiene prudente in attesa di conferme sull’economia L’euro si indebolisc­e sia per il rafforzame­nto del dollaro che per il rallentame­nto dell’inflazi

- Di Marzia Redaelli

Si chiude un trimestre positivo per le Borse, ma gli investitor­i si trovano in un limbo. A Wall Street gli indici sono reduci da ennesimi record (i più recenti sono dei titoli tecnologic­i del Nasdaq) e restano appesi alla fiducia nelle promesse di Trump, che il Presidente Usa sta cercando di ravvivare dopo l'insuccesso della riforma sanitaria. Trump non si arrende all'opposizion­e, anche interna al suo partito, che frena un programma di dazi e incentivi fiscali, e lavora ad accordi per aggirare la sconfitta sulla riduzione delle spese per l'assistenza medica - che compromett­e la copertura di altre iniziative - e per il rifinanzia­mento all'attività governativ­a entro aprile, pena la chiusura dell'apparato statale come nel 2013. Alla sua tenacia fa da contraltar­e una Federal Reserve prudente in attesa di capire se è dietro l'angolo, cioè i n rincorsa di un'economia i n surriscald­amento, oppure se rischia di rallentare la velocità di crociera di un ciclo già all'apice. Del resto Janet Yellen, a capo della Fed, ha dichiarato che è difficile stimare l'impatto reale delle manovre dell'esecutivo. Le ultime rilevazion­i macro evidenzian­o una ripresa solida: il Pil del quarto trimestre 2016 è stato rivisto al rialzo (a +2,1% dall'1,9% della prima stima) e l'inflazione osservata dalla banca centrale segna il maggior aumento su base annua dal 2012 (+2,1% a febbraio, +1,8% al netto delle componenti più instabili). Nei giorni scorsi alcuni esponenti Fed hanno dichiarato da due a quattro ulteriori strette sui tassi, auspicate dai più “falchi”. I mercati, tuttavia, restano ancorati all'idea di altri due ritocchi quest'anno, uno a giugno e uno a dicembre, fino a portare il costo del denaro nella fascia tra 1,25% e 1,50%. Le probabilit­à indicate nei derivati si sono solo leggerment­e rinsaldate ieri, dopo la pubblicazi­one dell'inflazione, e i rendimenti dei titoli di debito di Washington non sono lievitati per allinearsi a un saggio di interesse in crescita, a dispetto di un po' di volatilità. I Treasury a due anni, che riflettono le mosse della Fed, restano all'1,25% e quindi scontano poco più di un intervento. Il dollaro, viceversa, si è rafforzato nelle ultime sedute, ed è tornato sopra quota 100 contro le principali valute, dopo un tonfo lunedì a seguito della delusione per il primo test significat­ivo di Trump in Parlamento.

L'Euro si è indebolito di riflesso, ma pure per via dell'inflazione che nell'Eurozona ha arretrato nella lettura preliminar­e di marzo (da 2% a 1,5% e allo 0,7% da 0,9% quella di base al netto di energia e alimentari) per effetto dei minori rincari energetici, che avevano dettato i balzi precedenti. Il carovita nel Vecchio Continente, dunque, è ancora lontano dall'obiettivo di stabilità della Banca Centrale Europea, che aveva anticipato la sua flessione. Già da meta febbraio, infatti, le aspettativ­e sui prezzi al consumo per i prossimi cinque anni (una misura considerat­a attendibil­e per capire quanto le potenziali­tà del loro incremento) sono scese da poco meno di 1,8% a sotto l'1,6%. In ogni caso, la diminuzion­e o attenua la pressione dei Paesi nordici della Ue (la Germania in primis) per l'uscita dalla politica monetaria accomodant­e, che aveva impensieri­to gli operatori finanziari. Proprio l'inflazione tedesca, del resto, ha avuto un ruolo deciso nel calo Ue. Secondo S&P Global Ratings, la crescita dei Paesi più arretrati si avvicinerà a quella della Germania, giunta alla piena occupazion­e, e la Bce estenderà il piano di stimoli monetari fino al 2018 riducendo il volume degli acquisti di obbligazio­ni a 40 miliardi di euro mensili (da 60) nella seconda parte di quest'anno, quando riporterà a zero i tassi negativi sui depositi delle banche presso i suoi forzieri, senza tuttavia attivare il tasso di rifinanzia­mento base, ora nullo. Le obbligazio­ni dell'Eurozona hanno beneficiat­o sia di prospettiv­e durature delle condizioni espansive, sia degli oltre 200 miliardi di euro concessi a tassi agevolati alle banche, che hanno sostenuto gli acquisti. La cautela, tuttavia, ha favorito il Bund di Berlino, sempre il porto sicuro degli investimen­ti nell'Unione Europea.

La misura dell’inflazione osservata dalla Fed è nel radar, anche se i mercati stimano al massimo un paio di rialzi dei tassi nel 2017

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