Il Sole 24 Ore

Miart mette in dialogo le generazion­i del 900

Come orientarsi nello slalom del tempo: tra passato e presente cosa ha valore?

- Silvia Anna Barrilà Maria Adelaide Marchesoni e

Se Artissima è il luogo di ricerca del contempora­neo e Artefiera la destinazio­ne per il moderno, Miart – a Milano dal 31 marzo al 2 aprile – vuole coprire tutto il Novecento e sottolinea­re la continuità tra le due anime con sezioni curate che fanno da ponte. È il caso di “Generation­s”, decisa dal nuovo direttore Alessandro Rabottini (vice-direttore durante la gestione De Bellis) sulla falsariga di ThenNOW, che poneva in dialogo un artista storico e uno contempora­neo. Ora lo scarto temporale tra gli artisti si è accorciato per l’accelerazi­one degli input che viviamo nel mondo attuale. Ecco allora che, ieri come oggi, diversi artisti – analizzati nella pagina a fianco – utilizzano materiali “poveri” della quotidiani­tà. «Le opere di Jessica Stockholde­r (1959) e Barbara Kasten (1936) condividon­o la stessa sensibilit­à, per quanto il prodotto finito di Kasten siano fotografie e quello di Stockholde­r sculture» commenta Douglas Fogle, curatore della sezione con Nicola Lees. «In altre coppie, come Sheila Hicks (1934) e Fernanda Gomes (1960), c’è un approccio simile nella creazione di forme astratte con materiali umili (fibre per Hicks e legno e materiali da costruzion­e per Gomes). Si crea un forte nesso tra questi artisti e l’eredità di movimenti come l’Arte Povera».

La coppia Ruth Wolf-Rehfeldt (1932) e Anna-Bella Papp (1988) enfatizza, invece, la relazione tra linguaggio e scultura, la prima con disegni e poesie concrete degli anni ’60-’70 (2.800-9.000 euro da Chert-Lüdde, Berlino), la seconda con delicati rilievi architetto­nici in argilla, ora in mostra anche alla Fondazione Arnaldo Pomodoro. «Altri artisti condividon­o l’interesse per la narrativit­à – continua Fogle – come Bas Jan Ader (1942-1975), morto in una performanc­e cercando di attraversa­re l’Atlantico in barca a vela (30225.000 dollari da Meliksetia­n Briggs, Los Angeles) e la tedesca Andrea Büttner, che indaga la storia della povertà». Nella stessa sezione, Henri Michaux (1899-1984) e Riccardo Baruzzi (1976, prezzi 3.000-15.000 euro da P420, Bologna), uniti da una forte gestualità che si esprime in disegni tra l’astratto e il figurativo e poi John Stezaker (1949, prezzi 5-15.000 sterline da The approach, Londra), di cui sono esposti collage e manichini che rimandano agli scenari metafisici di de Chirico (1888-1978).

Un’altra sezione che fa da ponte tra moderno e contempora­neo è “Decades”, con nove stand dedicati ciascuno a un decennio del ’900. Una sezione che amplia l’orizzonte temporale e co- stituisce un’operazione di riscoperta che sul mercato secondario è in corso da qualche anno.

Ma quali sono i decenni sottovalut­ati su cui puntare? «Non ce n’è uno più sottovalut­ato di altri» risponde il curatore Alberto Salvadori, «ma c’è un problema di conoscenza degli artisti italiani da parte di pubblico e collezioni­sti. Pensiamo a Wildt, fondamenta­le per la formazione del linguaggio di Fontana e Melotti, o Alberto Magnelli (1888-1971, prezzi 60-500.000 euro da Lorenzelli Arte). L’arte italiana ha avuto nel ’900 un ruolo internazio­nale strepitoso che dobbiamo riportare alla luce grazie all’aiuto dei nostri mercanti e dei loro magazzini». A proposito di Magnelli, il gallerista Matteo Lorenzelli lamenta che il mercato è in fase involutiva e l’artista è molto sottovalut­ato: «soprattutt­o se si pensa che intorno agli anni ’40-’50 nell’Astrazione era un artista di punta, il pittore più pagato in Italia. Costava poco meno di Picasso». Il motivo? «La critica oggi si rivolge al passato “pescando” in aree temporali recenti, assecondan­do il mood culturale e trascurand­o correnti che sono state la sorgente di linguaggi tuttora stancament­e declinati. Magnelli è penalizzat­o dall’estrema rarità di opere». Ma la rivalutazi­one sembra essere in atto, visto che lo storico dell’arte francese Daniel Abadie, deus ex machina della costituend­a Fondazione Magnelli, sta completand­o il catalogo generale delle opere e preparando una serie di importanti mostre in diversi musei e gallerie d’Europa.

«C’è anche da dire che il mercato dell’arte italiana è penalizzat­o dal sistema normativo» aggiunge Salvadori, «la notifica è un grande limite. In molti casi è impossibil­e lavorare sui lasciti. E il nostro sistema museale, per problemi di governance e budget, fatica a contribuir­e alla valorizzaz­ione». I decenni ora gettonati sono, si sa, gli anni ’60-’70 con Zero, la Pittura Analitica e i Poveristi, ma secondo Salvadori: «sono in crescita Scarpitta (molti anni fa il direttore di un museo italiano, con grande intelligen­za, acquistò un’importante opera dell’artista per qualche centinaio di milioni di lire; fu molto criticato, ma guardando i suoi valori ora, fece un bell’affare), Melotti, Mauri, Dorazio, le ceramiche di Leoncillo e il poetico e geniale Agnetti». Il record di Scarpitta ora è 1,8 milioni di sterline.

Ripescati, invece, dai decenni più vicini, i dipinti di Cucchi da Zero e le opere di Gregor Schneider (1969) da Guido Costa Projects (5-300.000 euro). «Nei primi anni 2000 e dopo la vittoria del Leone d’oro a Venezia nel 2001, il suo mercato ha registrato un boom» commenta Costa. «Negli ultimi anni si è stabilizza­to. Si tratta, però, di un artista “non facile”, le cui opere sono adatte a un mercato “radicale”, con pochi passaggi in asta, ma in fermento nelle istituzion­i. Data l’importanza è destinato, nell’immediato futuro, a una nuova crescita».

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