Le opportunità tra i mercati emergenti vanno selezionate con molta attenzione
Nonostante le politiche protezionistiche di Trump ci sono chance di rendimento Evitare il fai da te
Dopo il voto sulla Brexit e le elezioni negli Usa, la distinzione secondo la quale il mondo è diviso tra mercati sviluppati “sicuri” e quelli emergenti invece “rischiosi” potrebbe essere rivista. Dieci anni dopo la crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti, per esempio, il debito Usa è salito del 33% (superando i 45mila miliardi di dollari), senza aiuti alcuni Stati della Ue sarebbero sull’orlo del fallimento mentre tra i mercati emergenti ce ne sono alcuni in cui si crea ricchezza. Fatta questa premessa, però, per far fronte alle incertezze dei mercati che possono travolgere sia i Paesi “sicuri” tanto quelli “rischiosi”, la ricetta è sempre la stessa: evitare il fai-da-te, diversificare bene il proprio portafoglio e se si ha ben presente il grado di rischio che si può sopportare si può scegliere di dedicare una piccola percentuale anche a strumenti “rischiosi” come quelli che puntano, appunto, sugli emergenti. Ma facciamo un po’ di ordine.
la situazione generale
Le prime settimane di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti sono state contrassegnate da una raffica di provvedimenti sui controlli all’immigrazione e sugli scambi commerciali che sembravano penalizzare anche i mercati emergenti. Nonostante l’indice Msci emerging markets fosse sceso prima delle elezioni Usa del 5% nel timore che le politiche di Trump sconvolgessero il commercio globale, subito dopo le elezioni è invece salito del 7% segnando da inizio anno una performance dell’8,7%. Non solo. Se la Federal Reserve non aumenterà i tassi d’interesse consecutivamente durante il 2017, i mercati emergenti potrebbero ancora dire la loro in quanto offrono rendimenti assai più alti rispetto a quelli sviluppati. Insomma, una situazione tutta in divenire dove i rischi sui mercati emergenti vanno pari passo alle opportunità.
la situazione degli emergenti
Nei mercati emergenti la redditività delle imprese sarebbe migliorata. «L’anno scorso — analizza Hugh Young, di Aberdeen Am — i margini di utile netti per le società non finanziarie hanno superato quelle dei mercati sviluppati. A ciò ha contribuito il rialzo dei prezzi delle materie prime e il modesto incremento degli scambi global che ha significato un aumento delle esportazioni. Inoltre, il rendimento del capitale è più alto rispetto a quello delle società europee o giapponesi. Le politiche economiche e monetarie — continua il managing director di Aberdeen Am — sono in genere ortodosse e funzionano, l’inflazione è sotto controllo oppure in calo, cosicché le Banche centrali hanno spazio per tagliare i tassi di interesse a supporto della crescita».
Insomma, sembrerebbe un dato strutturale che le regioni emergenti continueranno a crescere più velocemente dei Paesi sviluppati per molti anni a venire.
«Negli ultimi 10 anni — spiega Massimo Siano, di Etf securities — le obbligazioni denominate in dollari hanno performato meglio rispetto alla maggior parte dei bond emergenti sia in base assoluta sia aggiustata al rischio. I prossimi anni potrebbero però rivelare uno scenario differente. I paesi sviluppati si trovano in una stretta pericolosa tra una popolazione sempre più anziana, un debito pubblico crescente (specie in Gran Bretagna) e una bassa natalità. Questi fattori, ben analizzati da Greenspan, costringeranno le banche centrali a politiche monetarie meno aggressive contro l’inflazione. Inoltre — sottolinea l’head of Southern Europe di Etf Securities —, mentre dal 2010 al 2015 l’indice dei prezzi alla produzione cinese era in calo, dal 2016 abbiamo riscontrato una considerevole inversione di tendenza. Vi è una correlazione molto forte tra i prezzi alla produzione cinese e il prezzo al consumo (l’inflazione) dei paesi consumatori».