BREXIT E OPERATORI
Chi utilizza il multi-hub
La perdita del passaporto europeo è certamente la più significativa conseguenze della Brexit per le istituzioni finanziarie basate nel Regno Unito. In vista di quella più volte definita “hard Brexit”, molti dovranno considerare l’esigenza di strutture/hub alternativi che permettano loro di continuare a operare in Europa, soprattutto in relazione alla localizzazione del portafoglio clienti e alle attività che volgiono trasferire. Certamente l’iter per il cosiddetto set up e per avviare l’operatività, con tutto quello che questo implica in termini di processi regolamentari e societari, richiede un lasso temporale rispetto al quale anche i due anni previsti per le negoziazioni sembrano pochi. Ecco perché da mercoledì scorso chi non l’ha fatto si è seduto a tavolino per decidere.
«Due sono i temi da considerare — spiega Mark Holman, partner e Ceo di TwentyFour AM, controllata londinese indipendente di Vontobel AM —. Da un lato nel settore finanziario più del 60% del personale viene da fuori del Regno Unito e contribuisce a fare di Londra il primo centro finanziario del mondo. Sarà fondamentale garantire questa continuità di capitale umano. Dall’altro però Londra non ha rivali in termini di infrastruttura finanziaria. Quindi, se molte attività saranno spostate in altre città europee, una gran parte rimarrà nella City».
Qualcuno, però, ha già preso alcue decisioni. Come i Lloyd’s, che hanno già deciso di trasferire parte dell’attività a Bruxelles. Gli assicuratori hanno più che mai necessità di poter operare su base transfrontaliera e conservare l’accesso al mercato europeo è per loro vitale. Le grandi banche d’affari (da Goldman Sachs a Bank of America) stanno valutando cosa tra- sferire e dove. Ubs sposta circa 1.500 dipendenti a Francoforte. A Milano potrebbero arrivare una parte dei dipendenti di Citigroup che sta valutando l’ipotesi di usare più hub in Euoropa (Dublino e Francoforte). Da mesi, invece, circa mille dipendenti di Hsbc si sono trasferiti a Parigi. Standard Chartered e Barclays molto probabilmente opteranno per Dublino, sulla quale potrebbe ricadere anche la scelta di JpMorgan.
Tra gli asset manager, invece, molti punteranno a rafforzare le sedi in Lussemburgo. Come M&G Investments, tra i leader a livello internazionale, che lancerà entro marzo 2019 una nuova famiglia di fondi Sicav lussemburghesi. «Non ci aspettiamo che la Brexit influenzi in modo sostanziale né i nostri affari extra britannici né quelli nel Regno Unito, sebbene nel lungo periodo possano emergere modifiche regolamentari — spiega Laura Nateri, country head per l’Italia di Aberdeen AM —. La nostra presenza in Europa ha radici profonde e ci offre molte possibilità per ottemperare a qualsiasi cambiamento normativo . La nostra gamma principale di fondi per gli investitori europei al di fuori del Regno Unito è domiciliata in Lussemburgo da molti anni». «Nel breve ci aspettiamo cambiamenti minimi — spiegano da Schroders —. Dal punto di vista del wealth management, le principali attività europee sono domiciliate in Italia e in Svizzera: per questo, fondamentalmente non saranno toccate dai cambiamenti legati a Brexit».