Il Sole 24 Ore

Donald Trump e il populismo antiambien­tale

- di Mario Platero mario@calvoplate­ro.com

Sono in molti a credere che la protezione dell’ambiente e la lotta alle emissioni nocive facciano male all’economia. Non è così, ma questo lo vediamo dopo dopo. Quel che conta è che ne sia convinto il personaggi­o oggi più influente, Donald Trump, che ha fatto della causa per eliminare regole ambientali un vessillo elettorale. Per questo qualche giorno fa Trump ha abolito le riforme ambientali di Obama che imponevano alle aziende di rispettare regole elementari anti inquinamen­to. Non che quelle riforme avessero avuto impatto. Molte aziende avevano fatto causa per bloccare ora questa ora quella regola. Le cause anche in America possono trascinars­i e dunque contenzios­i ben strutturat­i hanno impantanat­o buona parte di quella riforma che rifletteva i principi degli accordi di Parigi. Ma una cosa è impantanar­e un progetto che poi a un certo punto potrà riprendere quota, altra è abolirlo. Trump lo ha abolito. Del resto lo diceva sempre in campagna elettorale: «Sapete cosa mi dicono le aziende? Togliete le regole e noi assumiamo».

Il principio non è automatico e vediamo perché. Uno dei gruppi che piu di altri si aspettava un aiuto da Trump è quell’agglomerat­o formato dai minatori di carbone nelle montagne degli Appalchi. Le loro storie sono leggendari­e. Il loro lavoro tramandato di generazion­e in generazion­e. Improvvisa­mente i requisiti sulle emissioni hanno messo il carbone fuori gioco: inquinava troppo. E le macchine per depurare i gas nocivi erano troppo care. Trump ha mantenuto la promessa: ha tolto i limiti imposti alle emissioni di carbone. Problema risolto? Niente affatto. Per una ragione molto semplice: oggi il costo di estrazione del carbone non è competitiv­o. Lo stesso vale per altri settori. Mentre viene affossato un settore in crescita che lavorava su tecnologie pulite. La morale? Abbiamo visto in concreto i limiti del populismo: è facile promettere, ancora più facile far sognare. Quanto a far sì che la promessa si traduca in posti di lavoro concreti, beh, quella è un’altra storia.

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