Fondi critici sulle remunerazioni
Un’analisi del dissenso sui compensi ai manager mostra più voti negativi tra i fondi, soprattutto tra quelli esteri
In prossimità della stagione assembleare, c’è un aggiornamento sui voti degli azionisti su un aspetto molto importante della vita societaria, i voti in assemblea sulla remunerazione dei manager. In un recente convegno organizzato da Consob e dall’Università cattolica è stato presentato infatti un aggiornamento di uno studio, ottenuto attraverso nuove elaborazioni dei dati, di qualche tempo fa sul tema del say on pay.
Innanzitutto sulla partecipazione in assemblea, lo studio, presentato da Stefano Bozzi dell’Università Cattolica, spiega che il peso degli investitori istituzionali in assemblea è pari a circa il 12% dei voti presenti e tra questi prevalgono i nonblockholder ( si veda la tabella qui accanto). Si tratta di quegli investitori che hanno una partecipazione globale inferiore al 2 per cento. Le percentuali di dissenso sono calcolate sommando il voto negativo e le astensioni. Il voto in dissenso degli investitori istituzionali è molto superiore, dai dati dello studio, rispetto a
Gli investitori istituzionali, a seconda del peso della loro partecipazione hanno un diverso atteggiamento verso il tema “dissenso”. « I blockholder — spiega Bozzi — quando intervengono, esprimono maggiore dissenso quanto maggiore è il loro peso, probabilmente perché altre forme di condizionamento sono state inefficaci. Per i nonblockholder, il dissenso in assemblea è la principale forma di pressione, tanto più se il loro peso è contenuto » . In pratica gli investitori maggiori hanno più possibilità di interlocuzione con le imprese e il voto negativo inter-
Valori in percentuale viene quando le altre possibilità di dialogo con l’impresa hanno dato un esito negativo.
Come si arriva a queste decisioni di voto? Per capirlo occorre considerare la presenza dei proxy advisor , i soggetti che raccolgono informazioni sulle società e offrono agli investitori delle indicazioni di voto per l’appuntamento assembleare. Anche qui emerge una netta differenziazione tra investitori blockholder e non. I blockholder risultano infatti «meno sensibili alle raccomandazioni dei proxy advisors. Un atteggiamento coerente con l’incentivo ad operare autonome valutazioni». Mentre invece nel caso dei nonblockholder, si rileva come questi « fanno molto affidamento sulle raccomandazioni dei proxy advisor, probabilmente perché l’entità dell’investimento non è tale da giustificare valutazioni autonome » .
Ma chi sono questi investitori istituzionali? Come segnala Massimo Belcredi, dell’Università Cattolica: « Si tratta in molti casi di fondi italiani ed esteri, che appunto detengono nelle società italiane delle partecipazioni non blockholder e il cui peso negli ultimi anni è venuto enormemente crescendo. Dai dati dell’ultimo rapporto Consob si vede come il peso dei fondi esteri sia sempre più importante » . Il voto in dissenso degli istituzionali nettamente più alto di quello dei non istituzionali sembra essere un trend che si mantiene costante nel tempo e in una percentuale intorno al 30 per cento.
«Quello che è importante vedere — spiega Belcredi — è dove questo dissenso si manifesta. Sempre dall’ultimo rapporto Consob, emerge come nelle grandi società il voto contrario sia costantemente in diminuzione, mentre per le medie (la Consob non ha dati sulle piccole) il dissenso è in crescita». Questo perché? Anche su questo Belcredi spiega: «Probabilmente, ma questa è solo un’intuizione, le imprese più grandi si sono adeguate alle richieste che venivano dagli investitori, mentre tra le mediopiccole si assiste a un ritardo su questo punto».