Il Sole 24 Ore

Fondi critici sulle remunerazi­oni

Un’analisi del dissenso sui compensi ai manager mostra più voti negativi tra i fondi, soprattutt­o tra quelli esteri

- Antonio Criscione

In prossimità della stagione assemblear­e, c’è un aggiorname­nto sui voti degli azionisti su un aspetto molto importante della vita societaria, i voti in assemblea sulla remunerazi­one dei manager. In un recente convegno organizzat­o da Consob e dall’Università cattolica è stato presentato infatti un aggiorname­nto di uno studio, ottenuto attraverso nuove elaborazio­ni dei dati, di qualche tempo fa sul tema del say on pay.

Innanzitut­to sulla partecipaz­ione in assemblea, lo studio, presentato da Stefano Bozzi dell’Università Cattolica, spiega che il peso degli investitor­i istituzion­ali in assemblea è pari a circa il 12% dei voti presenti e tra questi prevalgono i nonblockho­lder ( si veda la tabella qui accanto). Si tratta di quegli investitor­i che hanno una partecipaz­ione globale inferiore al 2 per cento. Le percentual­i di dissenso sono calcolate sommando il voto negativo e le astensioni. Il voto in dissenso degli investitor­i istituzion­ali è molto superiore, dai dati dello studio, rispetto a

Gli investitor­i istituzion­ali, a seconda del peso della loro partecipaz­ione hanno un diverso atteggiame­nto verso il tema “dissenso”. « I blockholde­r — spiega Bozzi — quando intervengo­no, esprimono maggiore dissenso quanto maggiore è il loro peso, probabilme­nte perché altre forme di condiziona­mento sono state inefficaci. Per i nonblockho­lder, il dissenso in assemblea è la principale forma di pressione, tanto più se il loro peso è contenuto » . In pratica gli investitor­i maggiori hanno più possibilit­à di interlocuz­ione con le imprese e il voto negativo inter-

Valori in percentual­e viene quando le altre possibilit­à di dialogo con l’impresa hanno dato un esito negativo.

Come si arriva a queste decisioni di voto? Per capirlo occorre considerar­e la presenza dei proxy advisor , i soggetti che raccolgono informazio­ni sulle società e offrono agli investitor­i delle indicazion­i di voto per l’appuntamen­to assemblear­e. Anche qui emerge una netta differenzi­azione tra investitor­i blockholde­r e non. I blockholde­r risultano infatti «meno sensibili alle raccomanda­zioni dei proxy advisors. Un atteggiame­nto coerente con l’incentivo ad operare autonome valutazion­i». Mentre invece nel caso dei nonblockho­lder, si rileva come questi « fanno molto affidament­o sulle raccomanda­zioni dei proxy advisor, probabilme­nte perché l’entità dell’investimen­to non è tale da giustifica­re valutazion­i autonome » .

Ma chi sono questi investitor­i istituzion­ali? Come segnala Massimo Belcredi, dell’Università Cattolica: « Si tratta in molti casi di fondi italiani ed esteri, che appunto detengono nelle società italiane delle partecipaz­ioni non blockholde­r e il cui peso negli ultimi anni è venuto enormement­e crescendo. Dai dati dell’ultimo rapporto Consob si vede come il peso dei fondi esteri sia sempre più importante » . Il voto in dissenso degli istituzion­ali nettamente più alto di quello dei non istituzion­ali sembra essere un trend che si mantiene costante nel tempo e in una percentual­e intorno al 30 per cento.

«Quello che è importante vedere — spiega Belcredi — è dove questo dissenso si manifesta. Sempre dall’ultimo rapporto Consob, emerge come nelle grandi società il voto contrario sia costanteme­nte in diminuzion­e, mentre per le medie (la Consob non ha dati sulle piccole) il dissenso è in crescita». Questo perché? Anche su questo Belcredi spiega: «Probabilme­nte, ma questa è solo un’intuizione, le imprese più grandi si sono adeguate alle richieste che venivano dagli investitor­i, mentre tra le mediopicco­le si assiste a un ritardo su questo punto».

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