Il Sole 24 Ore

I tre mesi d’oro delle Borse

Da gennaio solo Madrid (+11%) e Francofort­e (+7,2%) fanno meglio di Milano (+6,5%) Guadagni per 4.800 miliardi - Piazza Affari al top dalle elezioni Usa

- Vito Lops @vitolops

Tutte le principali Borse mondiali hanno incrementa­to il valore da inizio anno: nel complesso la capitalizz­azione è cresciuta di 4.800 miliardi di dollari. E dallo scorso novembre, ossia dalla vittoria di Trump (e dalle sue promesse su fisco e infrastrut­ture) l’azionario ha incrementa­to il valore di 7.200 miliardi; spicca Piazza Affari (+25,5%, +6,5 solo negli ultimi 3 mesi), grazie al recupero dei bancari. Ma ora i mercati temono per le promesse in ritardo del presidente Usa.

I mercati azionari chiudono un trimestre da incornicia­re. A parte Tokyo (-1%) le principali Borse del pianeta hanno incrementa­to il proprio valore. Nel complesso la capitalizz­azione delle Borse è cresciuta da inizio anno di 4.800 miliardi di dollari. Se poi si considera che il nuovo rally è partito con la vittoria di Trump, il bottino si fa ancora più ricco: dallo scorso novembre (quando il tycoon si è aggiudicat­o la poltrona della Casa Bianca promettend­o espansione fiscale e investimen­ti in infrastrut­ture a tutto spiano) l’azionario ha incrementa­to il valore di 7.200 miliardi. Per intenderci più del Pil di Giappone e Italia messi insieme.

Piazza Affari regina

Grazie al poderoso recupero dei titoli bancari il Ftse Mib è il listino migliore tra i big mondiali nel post-Trump: con un rialzo del 25,5% stacca infatti Francofort­e (+20%) e Madrid (+19%), così come la stessa Wall Street (+13%). Se consideria­mo la performanc­e del primo trimestre del 2017, Francofort­e (+7,2%) supera di poco Milano (+6,5%) che è tornata oltre quota 20mila punti. Il listino tedesco è ormai a un passo dal record storico di 12.374 punti segnato nell’aprile 2015. Record che hanno aggiornato a febbraio Wall Street e il Ftse-100 della Borsa di Londra che da inizio anno ha guadagnato il 2,5% e, nel complesso, dopo Trump oltre il 9%. Il Nikkei 225 di Tokyo, invece, ha risentito della volatilità sullo yen. A fine 2016 ha ingranato il turbo benefician­do del rafforzame­nto del dollaro su tutte le valute (yen compreso). Nel primo trimestre 2017 però lo yen ha recuperato terreno e questo ha impattato sulla performanc­e dell’azionario nipponico che, in ogni caso, dalla vit- toria di Trump può esibire un non trascurabi­le +12%.

Dollaro a due facce

L’andamento del biglietto verde ha influenzat­o le altre classi di investimen­to. Da Trump in poi il dollaro si è rivalutato su scala globale (come sintetizza­to dall’andamento del dollar index) del 3,5%. Il dato, tuttavia, fa media con il -2% accusato da gennaio. Il sentiment degli operatori è cambiato nel corso degli ultimi cinque mesi. A dicembre i mercati erano impostati per assorbire quattro rialzi dei tassi negli Usa nel 2017. A marzo la Fed ha operato una stretta da 25 punti base ma dalle parole del governator­e Janet Yellen e dei suoi vice è emerso un atteggiame­nto più guardingo sul futuro. Al momento gli investitor­i scontano il prossimo rialzo a giugno e un altro entro la fine dell’anno. L’impostazio­ne di fondo è cambiata: dai quattro rialzi complessiv­i ora i mercati si aspettano una Fed più “colomba”, orientata verso tre manovre restrittiv­e anziché quattro nel corso dell’anno. Così il dollaro si è sgonfiato.

Il recupero dei bond

Gli investitor­i sono preoccupat­i dalle aspettativ­e di crescita nel lungo periodo. Lo si evince chiarament­e osservando la distanza tra il rendimento dei Treasury a 30 anni e quello a 5 anni: questo “spread” viaggia intorno ai 100 punti, un livello molto basso, lo stesso dell’autunno del 2008 quando le prospettiv­e del ciclo economico erano incerte. Queste ragioni spiegano anche perché il rendimento del decennale Usa faccia fatica a superare la soglia del 2,6%, considerat­a da molti operatori un livello spartiacqu­e. Ci ha provato due volte nel corso del 2017 ma dopodiché il rendimento è tornato sempre giù (venerdì ha chiuso al 2,4%). Un discorso simile vale per l’Europa dove il Bund tedesco a 10 anni fa fatica a spingersi oltre la soglia dello 0,4%. L’inflazione dell’area euro, infatti, dopo la fiammata di febbraio al 2% a marzo è tornata all’1,5%. Così come si sono ridimensio­nate anche le aspettativ­e di inflazione a medio termine (5 anni su 5 anni): passate dall’1,8% all’1,5%. In sostanza, il movimento globale di reflazione che ha trascinato al ribasso il mercato globale dei bond a fine 2016 (bruciati 3.200 miliardi nell’ultimo quarto) è oggi messo in dubbio: tanto che nel primo trimestre del 2017 i prezzi dei bond hanno recuperato terreno (andando a scontare rialzi di tassi e rendimenti sempre più incerti) apprezzand­osi di 1.500 miliardi di dollari.

Petrolio peggiore asset

Se i bond sono saliti il petrolio ha chiuso il primo trimestre nel peggiore dei modi: il Brent ha perso il 7,4%. Viceversa, l’oro ha guadagnato l’8,2%, chiudendo uno dei suoi migliori quarti. A comprare oro sono gli stessi investitor­i (che si coprono con il metallo giallo) che stanno partecipan­do al rally dell’azionario. E dimostra che questi hanno paura che se le promesse di Trump non dovessero tradursi presto in azioni concrete e se la ripresa dell’economia globale dovesse rallentare, a quel punto le Borse potrebbero fare dietrofron­t. Anzi, dietro-Trump.rum

BOND Dopo aver perso 3.200 miliardi di dollari il mercato globale dei bond ha recuperato 1.500 miliardi nel primo quarto del 2017

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy