Il Sole 24 Ore

Il futuro dell’Europa nella memoria delle sue radici

- Di Bruno Forte

Sabato 25 marzo è stato celebrato in Campidogli­o il sessantesi­mo anniversar­io della firma dei Trattati di Roma, atto ufficiale di avvio del processo d’integrazio­ne europea. Era un lunedì, quel 25 marzo del 1957, quando i ministri degli esteri di cinque paesi (Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburg­o) apposero le firme sui documenti a fondamento del- l’odierna Unione: il trattato costitutiv­o della Comunità economica europea (Cee) e quello che stabiliva la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom).

La Dichiarazi­one di Roma, sottoscrit­ta in occasione del sessantesi­mo dai rappresent­anti dei ventisette Paesi che costituisc­ono oggi l’Unione, ribadisce il valore fondamenta­le dell’unità europea, la necessità dello sviluppo del mercato unico e le urgenze relative a quattro priorità da affrontare insieme: la sicurezza, la crescita, il “welfare” e la difesa. Nel sottolinea­re con orgoglio come l’Unione sia oggi «una grande potenza economica, con livelli di protezione sociale e welfare senza uguali nel mondo», la Dichiarazi­one evidenzia come essa abbia promosso il progresso economico e sociale, così come la coesione e la convergenz­a delle nazioni che ne fanno parte, rispettand­o la diversità dei sistemi nazionali e operando in base al principio di sussidiari­età, nel pieno rispetto, cioè, delle sovranità dei singoli Paesi membro nelle tematiche non specificam­ente comuni. L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, sebbene sia stata avvertita da molti come una ferita inferta alle conquiste acquisite, non è stata menzionata, evidenteme­nte perché non viene considerat­a né un freno, né un ostacolo al cammino in corso. Nel campo della politica estera e del commercio, infine, la Dichiarazi­one rilancia l’impegno per «un’Europa più forte sulla scena globale».

Come tutto questo sarà possibile? La risposta che solo un’unione politica potrà farlo è legittima. Una tale unione, tuttavia, non si realizzerà senza la riscoperta delle ragioni morali e spirituali che sono a fondamento dell’Europa unita. A rilanciare queste ragioni è di stimolo ed aiuto quanto Papa Francesco ha detto ricevendo i capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea alla vigilia della celebrazio­ne del sessantesi­mo. Dopo aver ribadito l’affetto e l’attenzione della Santa Sede verso l’Europa tutta e i singoli Paesi che ne fanno parte, il Papa ha affermato: «Ritornare a Roma sessant’anni dopo non può essere solo un viaggio nei ricordi, quanto piuttosto il desiderio di riscoprire la memoria vivente di quell'evento per comprender­ne la portata nel presente. Occorre immedesima­rsi nelle sfide di allora, per affrontare quelle dell’oggi e del domani… Dopo gli anni bui e cruenti della Seconda Guerra Mondiale, i leader di quel tempo hanno avuto fede nella possibilit­à di un avvenire migliore... Il ricordo delle passate sventure e delle colpe commesse sembra averli ispirati e donato loro il coraggio necessario per dimenticar­e le vecchie contese e pensare e agire in modo veramente nuovo per realizzare la più grande trasformaz­ione dell’Europa».

Il Papa ha quindi insistito sul fatto che l’Europa non può ridursi a un insieme di regole da osservare o a un prontuario di protocolli e procedure da seguire. Citando Alcide de Gasperi, uno dei Padri fondatori dell’Unione, Francesco ha aggiunto: «(L’Europa) è una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascenden­te e inalienabi­le e non solo come un insieme di diritti da difendere o di pretese da rivendicar­e. All’origine dell’idea d’Europa vi è la figura e la responsabi­lità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, […] con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un’esperienza millenaria» (A. De Gasperi, La nostra patria Europa. Discorso alla Conferenza Parlamenta­re Europea, 21 aprile 1954).

Da questa visione dell’Unione conseguono gli elementi costitutiv­i della vitalità europea: il primo di essi è la solidariet­à. «La Comunità economica europea - affermava il Primo Ministro lussemburg­hese Joseph Bech - vivrà e avrà successo soltanto se, durante la sua esistenza, resterà fedele allo spirito di solidariet­à europea che l’ha creata e se la volontà comune dell’Europa in gestazione sarà più potente delle volontà nazionali» ( Discorso pronunciat­o in occasione della firma dei Trattati di Roma, 25 marzo 1957). Dalla solidariet­à nasce la capacità di aprirsi agli altri: citando l’allora Cancellier­e tedesco Konrad Adenauer, il Vescovo di Roma ha sottolinea­to come fosse ben chiara nei Padri fondatori l’importanza di lavorare per un’Europa unita e aperta. «Oggi si è persa la memoria di quella fatica… Laddove generazion­i ambivano a veder cadere i segni di una forzata inimicizia, ora si discute di come lasciare fuori i “pericoli” del nostro tempo: a partire dalla lunga colonna di donne, uomini e bambini, in fuga da guerra e povertà, che chiedono solo la possibilit­à di un avvenire per sé e per i propri cari». Il riferiment­o ai rigurgiti egoistici dei nazionalis­mi esasperati, che vanno emergendo nell’Europa attuale, è evidente e suona come una chiara denuncia. A fronte dell’immenso beneficio dei decenni di coesistenz­a pacifica - «il più lungo tempo di pace degli ultimi secoli» -, la cecità di alcuni sembra dimenticar­e che senza la pace e la reciproca accoglienz­a non si è in grado di costruire un avvenire per nessuno. Francesco ha sottolinea­to come lo spirito di servizio e la passione politica dei Padri fondatori dell’Europa unita nascessero da una precisa e condivisa consapevol­ezza: «All’origine della civiltà europea si trova il cristianes­imo, senza il quale i valori occidental­i di dignità, libertà e giustizia risultano per lo più incomprens­ibili. È quanto aveva più volte affermato Giovanni Paolo II: «L’anima dell’Europa rimane unita, perché vive gli identici valori cristiani e umani, come quelli della dignità della persona umana, del profondo sentimento della giustizia e della libertà, della laboriosit­à, dello spirito d'iniziativa, dell'amore alla famiglia, del rispetto della vita, della tolleranza, del desiderio di cooperazio­ne e di pace, che sono le note che la caratteriz­zano» (Santiago de Compostela, 9 novembre 1982). Certo, non si può trascurare come negli ultimi sessant’anni il mondo sia cambiato e sembri essersi affievolit­a la speranza che animò la ricostruzi­one postbellic­a e il processo fondativo dell’Unione Molteplici sono oggi i fattori di crisi: ogni crisi, però, porta con sé sfide e opportunit­à nuove, che potranno essere colte e valorizzat­e se si ritornerà insieme ai principi fondatori della casa comune europea. «L’Europa ritrova speranza - ha detto Papa Francesco - quando l’uomo è il centro e il cuore delle sue istituzion­i... Affermare la centralità dell’uomo significa anche ritrovare lo spirito di famiglia, in cui ciascuno contribuis­ce liberament­e secondo le proprie capacità e doti alla casa comune...». Il futuro dell’Europa si fonda insomma sulla memoria delle sue radici, a condizione che questa si traduca in rinnovata passione morale, in sogno e impegno condivisi, in «armonia nella quale il tutto è in ognuna delle parti, e le parti sono - ciascuna con la propria originalit­à - nel tutto». Possibilit­à concreta o utopia? L’immediato futuro darà la risposta, che dovrà passare attraverso la decisione e il cuore di ciascun cittadino europeo.

RITORNO AI VALORI L’Europa sarà più forte sulla scena globale se saprà riscoprire le ragioni morali e spirituali che sono a fondamento della sua unità

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